Quando Beppe Sannino aveva smesso di giocare a calcio e inseguiva il sogno di diventare allenatore, si era trovato un posto di lavoro all’Asl di Voghera, dove puliva i cessi. “O rei”, che in campo sprizzava estro e fantasia, non aveva avuto paura di sporcarsi le mani per mantenere la famiglia e, appena uscito dal lavoro, dopo un lungo turno di lavoro mattutino, saliva sulla sua essenziale utilitaria per raggiungere Cardano al Campo, quartier generale della Primavera del Milan, dove, da attento spettatore, osservava Maurizio Viscidi, allenatore emergente. Più o
meno in quegli anni, nelle giovanili rossonere si faceva strada un ragazzino di talento: Alessandro Lorenzi. Dopo essere stato spedito a farsi le ossa, appena diciassettenne, al Treviso, in C2, era rientrato al Milan nella stagione della Coppa dei Campioni conquistata al Camp Nou di Barcellona contro lo Steaua Bucarest. Passato quindi alla Centese, sempre in C2, Lorenzi era approdato al Varese nel campionato 1991-1992, innamorandosi della città, dove ha messo radici. La sua carriera di centrocampista di talento si è chiusa nel Verbano a 42 anni e cioè nel 2012.
Mi scusi se la interrompo ma prima che mi faccia la domanda sono io a volervi chiedere una cosa: ma vi sembra normale che il Varese giochi con il Verbano?
E allora evidentemente c’è qualcosa che non va. Benché io abbia giocato in entrambe le squadre per me è una grande tristezza vedere il Varese che deve battersi con il Verbano. È una ferita, una beffa. Vi ricordate quei dirigenti che, solo tre anni fa, si presentavano in piazza lanciando proclami? Tutti quei personaggi che
si sono susseguiti in società non meritano nulla se il risultato è stato il fallimento di questo glorioso club. Il Varese è dovuto ripartire dalle ceneri, non c’entra nulla con l’Eccellenza e la maglia biancorossa per me è stata una seconda pelle. Il Verbano una parentesi per tornare a vivere il calcio come un divertimento…
Le tante cose che non funzionavano, i fatti che hanno portato al fallimento. Se Sean Sogliano e Mauro Milanese avevano fatto un ottimo lavoro, trascinando la squadra a un passo dalla Serie A per due anni di fila, gli altri dirigenti si sono dimostrati inadeguati per incompetenza o per interesse personale. La società aveva una voragine di debito e la responsabilità è degli amministratori. Ma ci sono tante cose che non mi sono piaciute neppure nel settore giovanile.
Un sacco di ragazzi venivano da lontano e trovavano vitto e alloggio al De Filippi con costi rilevanti e notevoli per una realtà come Varese, che ha un bacino ampio in cui pescare giovani di qualità. Volete dirmi che in provincia non ci sono società in grado di sfornare talenti interessanti? Non scherziamo. I venti ragazzi parcheggiati al De Filippi non erano poi dei fuoriclasse. Tant’è vero che oggi nei tabellini pubblicati sui giornali non leggo i loro nomi. Anche questi fatti hanno concorso al fallimento del Varese.
Infatti: Fabrizio Castori lo stimava molto e lo voleva ad allenarsi con il Varese ma, una volta esonerato il tecnico, mio figlio non è più stato preso in considerazione e, anzi, è stato ceduto al Verbania, club già fallito. La stessa sorte hanno avuto tanti altri ragazzi, sfruttati e poi buttati via o mandati al macello.
Avevo dato la mia disponibilità dicendo: vengo a costo zero. In tre anni però nessuno mi ha mai preso in considerazione. Eppure tutti si riempivano la bocca proclamando che al Varese servivano gli ex.
Lo so e ci sono persone degne. Io sono sempre disponibile perché sapete quanto bene voglio al Varese, che considero la mia casa, e oggi è una tristezza dover essere in questa categoria a giocare con il Verbano. Ripeto: sono stati fatti errori clamorosi e qualcuno ha già pagato perché è stato in galera.
Dopo aver vinto un campionato a Chiasso e essermi guadagnato la Serie A svizzera, la società era fallita lasciandomi tanta delusione. Al Verbano avevo ritrovato la voglia di divertirmi, almeno nelle prime stagioni. Roncari e due dirigenti come D’Agata e Miglierina li tengo nel cuore. Anche Di Marco ricordo con piacere perché ci faceva giocare un bellissimo calcio. L’ultima stagione in D non è stata positiva: c’erano troppi giocatori e troppa confusione. Non mi divertivo più e a dicembre del 2012 ho detto al presidente Barbarito che non mi piacevano molte cose: ho smesso così ed è stato un peccato. Quel campionato finì poi con la retrocessione ma la squadra si sarebbe potuta salvare.
Il mio amico Antonio Gori di recente mi ha regalato un dvd con le immagini più belle della mia carriera. Tra queste c’è il gol al Como in Coppa Italia: io ho raccolto il cross di Elli e ho segnato di testa, poi mi sono fiondato sotto la curva nord e ho visto tutti gli ultrà, sugli spalti, che scendevano i gradoni per corrermi incontro. Un’emozione così la tieni dentro per tutta la vita.
Eravamo un’ottima squadra e con il Ravenna, arrivato primo, avevamo la rosa migliore. Fu il Leffe, secondo, a fregarci la promozione e noi fummo terzi. Se ci fossero stati già i playoff sarebbe stato promosso il Varese che aveva un tridente fortissimo con Bolis, Vincenzi e Mosele. Poi c’era un giovane Ambrosetti e un Prelli, che faceva ancora parte della Primavera. Mazzola, Montani, Antonioli, Vanigli, Elli, Vitillo, Sala, Pedretti, Modica, Bonadei e i portieri Gandini e Adami: che squadrone. Mi chiedo sempre che fine abbia fatto il nostro allenatore Magni mentre Cicci Ossola era un d.s. splendido, un signore d’altri tempi. E poi c’era il numero uno: Bruno Limido, trascinatore dello spogliatoio.
Li abbiamo massacrati, che partitone. Vi dico una chicca: Toldo è stato per due anni con me nelle giovanili del Milan ma poi era stato scartato. Nell’estate del 1991, Braida mi aveva ceduto in prestito al Varese mentre per Toldo non trovava soluzioni e allora decise di regalarlo al Trento: guarda che carriera ha fatto poi.