Gli insegnanti costituiscono una delle forze portanti della nazione, ad essi compete (insieme alla famiglia, ahimé spesso disastrata) la formazione delle future generazioni. Mi chiedo perché non intervengono più spesso sulle questioni politico-etico-sociali che coinvolgono noi tutti ovviamente restando nella correttezza sostanziale e formale che il loro ruolo istituzionale impone. L’indifferenza, l’acriticità, la mancanza di partecipazione alla vita sociale del
Paese e della città non costituisce certo un buon segno per i giovani. Ma che cosa devono temere? Più fregati di così: bassi stipendi, considerazione sociale ai minimi storici, nessuna voce in capitolo sulle problematiche della scuola, bistrattata e lasciata nelle mani di politicanti incompetenti che fanno e disfanno a seconda delle maggioranze in Parlamento. Perché non si svegliano dal torpore?
Giovanni Dotti
Varese
Proprio perché svolgono una funzione pubblica, molti insegnanti pensano che è inopportuno manifestare opinioni private.
Credono di corrispondere in tal modo a un’etica professionale chiara. Anche a un implicito e alto senso dello Stato che gli si chiede quando diventano parte dello Stato. E poi le loro idee le confrontano nella sede opportuna, a scuola, con gli altri insegnanti e soprattutto con gli studenti. Non è vero che la scuola italiana sia assente dal dibattito generale. Sono semmai i media che si disinteressano del discutere che avviene nella scuola. C’è infine da dire che troppe volte gl’insegnanti hanno chiesto di ricevere un più dignitoso riconoscimento economico, e di assumere quindi anche un diverso profilo sociale, senza ricevere risposta; e che probabilmente l’indifferenza di cui hanno dovuto prendere atto li rendere refrattari all’interventismo politico.
Come tanti altri italiani, ritengono che sperare in una diversa governance del Paese, come si dice oggi, non sia difficile. Sia inutile. Tristemente inutile. E si rassegnano. Come quelli che per lo stesso motivo non vanno più a votare.
Max Lodi
© riproduzione riservata