Quando l’avvocato è collezionista di Pinocchi

VARESE Alti oltre un metro e lillipuziani. Con il cappello a punta e il naso in plastilina morbida. Tradizionali, con le articolazioni mobili e il vestito rosso. Sono gli 82 pinocchi della collezione dell’avvocato Pierpaolo Cassarà, da dieci anni membro dell’Associazione dei Pinocchisti di Firenze. «Per diventare un pinocchista bisogna avere un gran numero di burattini, ma è la qualità dei singoli pezzi che fa ottenere il riconoscimento» spiega l’avvocato. Alcuni pinocchi hanno un valore inestimabile che può superare le migliaia

di euro. Nella collezione ce ne sono di tutte le epoche e di tutti i materiali. E non mancano neppure i pinocchi in materiali preziosi, conservati al sicuro. L’avvocato li ha cercati in giro per l’Italia tra un’udienza e l’altra, «le città dove ce ne sono di più sono Roma e Napoli» racconta. Può sorprendere, ma i pinocchisti non sono rari: persino Bill Gates pare abbia fatto costruire un Pinocchio alto 15 metri all’ingresso di una delle sue «engineering factory».

La collezione dei Pinocchi di Cassarà si divide parte nello studio di Varese e parte in quello di Solbiate Olona. Alcuni Pinocchi sono seduti con le gambe a penzoloni sugli scaffali delle librerie, altri sono vicino ai libri di diritto. Accostare i volumi di legge a Pinocchio non deve sorprendere. Ciò che lega verità e racconto della stessa fu ben espresso da Alessandro Manzoni in quel passo che dice: «All’avvocato devi raccontare le cose chiare. Poi ad ingarbugliarle ci penso io». Il Pinocchio più raro di Cassarà è un pezzo degli anni ’30 con il naso costruito in plastilina morbida per rispettare le norme di sicurezza di quel periodo. Tra i libri di diritto, i codici e i burattini, ci sono anche alcuni volumi di Pinocchio. L’edizione più preziosa è del 1887 e riporta alcuni materiali storiografici precedenti alla pubblicazione del libro.
Chi conosce la storia di Pinocchio non può non rimanere affascinato da quella di Collodi (pseudonimo di Carlo Lorenzini), uomo accigliato e burbero, che scrisse il libro inserendo volutamente degli errori ortografici per disprezzo della grammatica. «Collodi, infatti, se ne infischiava dell’ortografia per tenere spontanea la sua creatività» spiega Cassarà. Il libro che conosciamo oggi fu pubblicato dopo alcune edizioni del Giannettino che vendette 50 mila copie e che, come il Pinocchio, fu dedicato ai ragazzi della borghesia. Il primo a dimostrare interesse per Collodi fu Guido Biagi, direttore del «giornale per i bambini». Successivamente, all’editore Sandro Poggi, nel 1881, Collodi disse: «eccoti queste bambinate, fanne quello che vuoi basta che mi paghi». Mai più lo scrittore pensava che da quei cartigli scritti per saldare debiti di gioco sarebbe nato un classico per l’infanzia. Se questo è successo è perché Collodi «fu un rivoluzionario che seppe educare con la fantasia, con lui si affermò quello spirito che infranse quella barriera di musoneria obbligatoria dove si trincerava il mondo dei maestri e degli educatori» continua Cassarà. «Pinocchio parla di noi perché tutti, ogni giorno, ci raccontiamo delle bugie. La maggior parte sono a fin di bene e servono per far sembrare la realtà più bella di quello che è veramente, quasi una pastiglia per vivere felici». Per descrivere il legame tra bugia e psiche, l’avvocato sta scrivendo un libro, il cui titolo dovrebbe essere «l’ombra della bugia».  La collezione di Pinocchi ambisce a crescere ancora: «Questi burattini hanno il compito di rievocare la nostra infanzia». Sotto il profilo pittorico, sono il Mazzanti, il Chiostri e il Mussino ad aver individuato i caratteri strutturali del personaggio di Pinocchio. «Tutto quello che è fuori da questi canoni non è Pinocchio».
Adriana Morlacchi

f.tonghini

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