«Quante porte chiuse. Varese è un capolavoro»

L’intervista - Alessandro Ballan, campione del mondo a Varese 2008 ha detto addio al ciclismo

Era nell’aria. Quasi scontato che Alessandro Ballan decidesse di scendere dalla bicicletta. Che il campione del mondo di Varese 2008 annunciasse il suo addio alle corse. Le ha tentate tutte per ritornare in strada; ha bussato ad ogni porta trovandole chiuse. Non che il corridore veneto si fosse illuso che sarebbe stato agevole dopo aver scontato la condanna sportiva per doping, «che doping non era», rimarca lui stesso, ma assolto dalla magistratura ordinaria perché “il fatto non sussiste”. Pulito. Un calvario, finito in buona sostanza, con una crocifissione fino all’ultimo stadio dell’annuncio: “mi ritiro”.

La voglia di rientrare, di ricominciare a correre era ed è ancora fortissima. Volevo riprovare le sensazioni di quando si è in gara e da agosto cercavo una squadra. Alla fine però mi sono reso conto che era impossibile continuare. Ero anche un po’ stanco di cercare.

Sicuramente. Ho avuto dei contatti con alcune squadre Professional e Continental, però non volevo svalutarmi troppo ed ho lasciato perdere.

Si è fatto di tutto, ma non è stato possibile.

Me ne sono fatto una ragione. D’altronde capisco anche le ragioni di un manager di una squadra nel tesserare una corridore come Ballan che di corse non ne aveva fatte molte per il problema allo stomaco dovuto alla caduta nel 2012. E nel 2013 mi sono dovuto operare un’altra volta. E poi a novembre faccio 37 anni.

Purtroppo c’è un regolamento assurdo che ti mette nel purgatorio altri due anni dopo aver scontato la squalifica sportiva . E nemmeno tiene conto di eventuali sentenze della magistratura ordinaria, come nel mio caso, che sono di assoluzione e poi per una vicenda che non era doping. Questo sì, mi ha molto rammaricato.

Esatto. Sono sottoscritte da squadre World Tour, Professional e Continental anche se so che diverse società stanno uscendo da questa convenzione. Ma è inutile ritornare su questo argomento.

Dopo l’annuncio del ritiro mi hanno cercato persone per lavorare nel ciclismo. Mi ha chiamato una televisione e poi mi sono reinventato come guida cicloturitisca per amatori. Sono stato alle Canarie e con me c’era Davide Cassani.

Al primo posto il campionato del mondo di Varese. La gente, l’inno di Mameli, il massimo per un corridore.

La Parigi-Roubaix. Sembrerà strano perché non l’ho mai vinta. Sono arrivato tre volte sul podio. Una corsa che all’inizio odiavo e adesso ho il rammarico di averla capita tardi.

Nei primi quattro anni sono caduto sei volte e la detestavo. Poi ho capito che occorreva stare davanti e basta. Entravano cento corridori in un settore di pavè e ne uscivano venti. Una corsa massacrante che richiede enormi energie. Mi occorrevano dieci giorni per poter recuperare e quella corsa m’impediva di andare al Giro d’Italia perché non avevo le energie necessarie.

Ne ho fatti cinque e sono stati tutti entusiasmanti.

Che futuro c’è per il ciclismo italiano?

Abbiamo due fuoriclasse come Nibali e Aru e sono corridori da corse a tappe. Ci mancano quelli da corse classiche.

La crisi ha impedito alle nostre aziende d’investire, anche se adesso sarebbe la volta buona iniziando dai dilettanti.

Di divertirsi. A diciassette anni usano già i misuratori di potenza. Alla loro età correvo, m’impegnavo, ma ci si divertiva in compagnia. Questa è la bicicletta