Qualcuno ha mai pensato realmente di vincere a Reggio Emilia? È vero che i sogni son desideri, ma le malattie diventano degli incubi se non vengono curate. La Varese attuale è ammalata di tristezza. E si tratta di un morbo insidioso e difficile da debellare, perché si insedia nelle viscere e ti rende una foglia esposta al vento, ibernando il quotidiano nella sua semplicità. Le espressioni sul volto dei biancorossovestiti, il linguaggio del corpo, la settimana di voci destabilizzanti alle spalle e, non da ultimo, le assenze hanno reso la campagna emiliana una
chimera ben prima della palla a due.Il futuro immediato segna l’ennesimo tentativo di ripartire in una stagione che non è mai decollata veramente. C’è un’urgenza che si chiama classifica: continuare a sbagliare, perseverare nella tristezza significa rischiare grosso. I tifosi – dalle piazze fisiche a quelle virtuali, dal palazzetto all’ultimo bar in cui insieme al bianco spruzzato si serve anche l’amore per questa squadra – dettano quattro regole che proviamo a riassumere.Sono l’estremo vademecum rimasto per salvare la baracca del 2015 e non dover arrivare a piangere davvero; oltre c’è il baratro.
: serve un cambio di atteggiamento in panchina.
La fiducia nei confronti di Gianmarco Pozzecco rimane generalmente immutata o quasi. Senza entrare nello specifico tecnico, il gioco espresso dalla squadra da lui guidata lascia a desiderare, ma per crocifiggerlo manca una controprova sotto forma di un organico molto più competitivo di quello a sua disposizione. Poi ci sono gli infortuni, realtà costante più che giustificazione.
Acclarato che non abbia ancora l’esperienza necessaria per cavare il sangue dalle rape, al Poz si chiede di abbandonare la carota per impugnare il bastone. Il suo essere un “players coach” votato a lasciare le briglie sul collo dei giocatori non ha funzionato con questo gruppo.
I tifosi a questo punto vogliono strigliate, sguardi che inceneriscono, ribellione allo status quo: lui è rimasto l’ultimo baluardo in cui credere, non sprechi questa possibilità.
: via una “mela marcia”, si dia l’ultimatum alle altre.
Sarebbe pavido non fare nomi ed i tifosi non si astengono dal pronunciarli: con il Daniel impacchettato e spedito lontano dalle Prealpi, la più grande delusione per indole profusa rimane Deane, colui che avrebbe dovuto essere il valore aggiunto della panchina.
Se Dawan Robinson cercava di mascherare i limiti con l’impegno, il suo sostituto designato li estremizza con un atteggiamento da americano “svernante” e senza nerbo alcuno. Va messo un punto: o cambia, subito, o prende la stessa via del centro.
Meglio avere un buco grosso come una casa negli effettivi che sopportare certi strazi.
: si ritorni a vincere a Masnago.
Che succede sotto le volte del Tempio? Davanti c’è una salvezza che passa – tralasciando l’impegno con Venezia, improbo e da affrontare con tante assenze – dalle partite contro Roma, Brindisi, Cremona, Caserta, Capo d’Orlando ed Avellino.
Gli eventi stanno insegnando che questa Varese può perdere contro chiunque; quella post-cura e post-nosocomio deve portare a casa, da questi incontri, almeno otto punti.
Per farlo, però, ha bisogno di un aiuto e la regola suddetta raccoglie l’appello del presidente Coppa ritorcendosi contro gli stessi tifosi, o almeno alcune loro sottocategorie.
Il manifesto della rinascita è: basta “cartonati” al Lino Oldrini. Una fede si sostiene per 40 minuti, poi al massimo si fischia per rabbia. E la domenica dopo si ritorna a sostenerla come se non ci fosse un domani.
Il palazzetto di questa annata sta diventando il terreno di caccia per avversari che non provano più il timore di dimorarvi, che vanno in attacco sotto il silenzio e non sotto un caos disturbante. Se il pubblico pagante non si merita certi spettacoli, il blasone del nostro fortino non si merita gli spettatori di un teatro.ù
: raggiunto l’obbiettivo primario della permanenza in serie A – da conquistare con unità di intenti e senza sortite destabilizzanti – a fine stagione si tirino le somme ed ognuno si prenda le proprie responsabilità.
Non si può ignorare che esista un problema nella scelta dei giocatori, rogna che va al di là di risorse che restringono necessariamente il campo. Per la seconda stagione consecutiva sul mercato si è sbagliato tutto o quasi. Ed è incredibile come – alla stregua del 2013/14 – la discussioni meno amabili fra i tifosi attengano ad una semplice domanda: chi ha preso certe decisioni? L’allenatore le ha avallate? Senza perifrasi: di chi è la colpa? Uno, nessuno, centomila.
Il consiglio per il prossimo anno è di individuare una sola figura responsabile delle mosse, fosse anche Gianmarco Pozzecco. Lui li deve allenare, lui li sceglie. “Coram populo”, come dicevano gli appassionati dell’antica Roma.