«Qui ho pianto e ho sorriso. In ospedale c’è gente vera»

Callisto Bravi riconfermato numero uno dell’ospedale di Circolo. Dal day center alla rivoluzione del pronto soccorso, anni di sfide. «Ho visto sofferenze e gioie, sogno di prendere i pazienti per mano»

VARESE – È stato promosso al quizzone riservato ai nuovi manager della sanità lombarda e aveva ottenuto un buon punteggio nelle “pagelle” stilate da Regione Lombardia per l’anno 2014. Stiamo parlando di Callisto Bravi, direttore generale dell’azienda ospedaliera di Varese, nominato ufficialmente a capo della prossima Asst Sette Laghi (vecchia azienda ospedaliera di Varese).
Ma Bravi non è solo un abile manager della sanità lombarda, è prima di tutto un uomo che opera guidato da senso di missione.

Devo innanzitutto partire ringraziando tutto il personale dell’ospedale per la disponibilità e la flessibilità dimostrata e vorrei porgere un ringraziamento speciale ai miei più stretti collaboratori: il direttore sanitario, Gianluca Avanzi e il direttore amministrativo, Maria Grazia Colombo.
La prova più ardua è stata quella di portare a compimento così tanti rilevanti progetti in contemporanea. Vi faccio un breve excursus.

L’apertura del day center da cinquemila metri quadri, con tutti gli ambulatori che sono stati attivati al suo interno; la realizzazione di nuovi reparti come ad esempio quello di Subintensiva, di Ematologia e di Psichiatria. A questi si aggiunge la conclusione dei lavori all’ospedale Del Ponte che, nonostante il ritardo di sei mesi legato alle verifiche compiute da parte di Arpa e che hanno bloccato il cantiere, è stato terminato nei tempi previsti dal progetto. Sono molto soddisfatto anche della rivoluzione copernicana compiuta al

Pronto Soccorso: voglio nuovamente ringraziare tutti i medici e gli infermieri che hanno collaborato alla rivisitazione completa dei percorsi dell’ospedale. Ultimo tassello mancante è l’attivazione del reparto per subacuti che verrà aperto entro la fine dell’anno. Sono convinto che dobbiamo lavorare ancora per migliorare l’accessibilità delle persone alle prestazioni erogate. Un passettino in avanti abbiamo iniziato a farlo con i totem per il ritiro dei referti ambulatoriali presenti nella hall e la revisione dei processi di accettazione, che avvengono nel nuovo day center.

Ce ne sono diversi. Mi sono commosso quando ho incontrato personalmente la mamma di un ragazzo di vent’anni che aveva avuto un arresto cardiaco. Ho partecipato con il cuore al dolore straziante di quella mamma.
Un altro caso che mi ha toccato profondamente e che ho seguito in prima persona è stato quello che ha portato due fratelli a rimanere, nel giro di sei mesi, senza mamma e papà. Oltre alla condivisione del loro dolore, sono rimasto profondamente colpito dalla razionalità e serenità che questi ragazzi hanno avuto nel prendere la decisione di donare gli organi del padre appena mancato. Mi sono commosso di felicità quando hanno attaccato i fili e acceso l’impianto cocleare a un bambino di sei mesi: noi, medici e infermieri, eravamo lì presenti e abbiamo battuto le mani e il piccolo è sobbalzato perché prima era completamente sordo.
Mi sono emozionato quando, qualche giorno fa, sono andato a vedere la sorpresa che abbiamo preparato per domani (oggi, ndr) prima del concerto, nel vedere la passione degli operatori che hanno collaborato a questo progetto, nonostante quest’anno con loro io sia stato molto spesso un bergamasco rozzo.

Un intervento fatto dal dottor Caraffiello, uno dei più bravi radiologi interventisti italiani: si è trattato di un intervento di chirurgia non invasiva sul duodeno.

Sicuramente quelli legati al mondo delle associazioni di volontariato: ho conosciuto persone pronte a mettersi a disposizione per soddisfare i bisogni dei pazienti e degli utenti e, soprattutto, a donare sorrisi e amore a chi una speranza non sempre ce l’ha. Uno degli incontri più significativi è stato quello con la ex presidente dell’Unione italiana cechi della sezione di Varese, Angela Mazzetti, donna di profonda cultura e sensibilità.

L’ospedale a misura di uomo, non solo in termini di accessibilità e chiarezza nei percorsi terapeutici. Chi arriva in una corsia di ospedale ha bisogno di essere preso per mano perché la debolezza e la paura lo rendono più fragile. Sente il bisogno di essere sempre al centro dell’attenzione del medico e se ne accorge subito quando accade oppure no, la fiducia e la tranquillità fanno parte della guarigione dalla malattia.