«Rai specchio della classe politica. E la debolezza si vede nella qualità»

Il direttore di Rete 55 Matteo Inzaghi analizza la questione Canone-Rai

VARESE – Con l’arrivo del 2016, il canone Rai scende a cento euro e si pagherà a rate con la bolletta della luce.
Ma il dibattito sulla tassa resta più vivo che mai, come si capisce anche da un vivace scambio di battute fra i frequentatori dei nostri social network. Abbiamo scelto di incominciare l’anno con un fine intellettuale esperto di televisione: Matteo Inzaghi direttore di Rete 55.

La musica è la stessa di sempre, sia pur con la compartecipazione dei Cinque Stelle. Mi pare di capire che, quando c’è di mezzo il controllo della Rai e della Corte Costituzionale, le tante parole e gli approcci ribelli lascino spazio improvvisamente a una logica per cui conta controllare il più possibile i luoghi del potere con propri uomini.

La fragilità della classe dirigente che caratterizza il nostro Paese nel suo complesso si riflette anche sulla Rai. Una classe dirigente debole difficilmente sa esprimere soluzioni brillanti.

La lottizzazione c’è sempre stata e una volta si diceva chiaramente che Rai 3 era del Pci, Rai 2 del Psi e il primo canale della Dc. La logica spartitoria è rimasta anche se non viene esplicitata. È la caratura dei dirigenti che è cambiata. Carlo Freccero è un professionista coi fiocchi, che alla guida di Rai2, aveva costruito palinsesti di tutto rispetto, inseguendo filo logico e spessore culturale. Chi ha preso il suo posto non è però più brillante di lui e questo mi rattrista. È un chiaro segnale della debolezza della classe dirigente.

Il discorso del canone è lungo e si è incominciato a battere i pugni sul tavolo quando è nata la televisione commerciale, che interrompeva le trasmissioni con la pubblicità. Lo ha fatto poi anche la Rai che, pur avendo maggiore qualità, ha inseguito i dettami delle tv commerciali. Veniamo al presente: in tempo di crisi qualunque tassa, grande o piccola, suscita dibattiti. Il canone è una tassa e in quanto tale va pagato ma il problema è un altro. La Rai è un’azienda del servizio pubblico che è piuttosto scarsa nell’offerta. Se ripenso ai programmi visti nell’arco dell’anno scorso ne trovo pochi che abbiano garantito davvero un servizio pubblico. Da una televisione di Stato mi aspetto servizi, un po’ come quelli essenziali dell’acqua e del gas, che siano di utilità, arricchendo la platea, invece di annoiarla.

Fanno servizio pubblico Report o i programmi di Piero e Alberto Angela e di Riccardo Iacona. Altre cose hanno poca qualità, come alcuni varietà. E quando vedo Fabio Fazio mi cadono le braccia. Intendiamoci, “Che tempo che fa” ha offerto anche spunti intelligenti e innovativi, nei primi anni, ma adesso mi sembra diventato un feudo del conduttore e dei suoi amici radical chic. Faccio fatica a considerare la trasmissione di Fazio come un servizio pubblico e, anzi, mi sembra invece il suo salotto di casa, in cui ospita solamente chi conosce bene. Alle volte promuove film orrendi solo perché sono di suoi amici ma ogni tanto dovrebbe fare uno sforzo e sdoganare talenti. Sono bravi tutti ad aprire la porta a personaggi già ricchi, famosi e simpatici. Più duro invece concedere il proscenio a personalità interessanti, relegate invece nell’ombra.

È una tassa che deve essere pagata. Se lo faccio a cuor leggero non è però per le tre reti ammiraglie. Ma per alcuni canali che propongono qualità, come Rai 5, Rai Movie o Rai Storia.