Contro Renzi monta una campagna d’avversione simile a quella che vent’anni fa si scatenò contro Berlusconi. Gli si imputano diverse cose, soprattutto di non essere fedele alle liturgie classiche della politica, di infrangere regole che resistono da decenni, di parlare alla gente che sta davanti alla televisione invece che seduta in Parlamento. Ma questo è proprio lo scopo di Renzi: di avere un filo diretto con gli italiani. Secondo me ci è riuscito, adesso dovrà mettere a buon fine la fiducia politica ricevuta e l’attesa di molti lo considerano l’unica possibilità di cambiamento.
Berlusconi avrebbe potuto cambiare l’Italia. Non ci riuscì perché non volle, non perché non potè. Gli mancarono le alleanze giuste, l’indispensabile audacia, l’indipendenza intellettuale. Nel senso che dipese troppo dai suoi interessi e poco da quelli del Paese. Renzi chissà: l’ambizione è larga, il sentiero su cui avviarla stretto. Un terzo del Pd, e forse qualcosa di più, lo avversa e cercherà di segarlo. Idem la metà di Forza Italia, il sodale delle riforme elettorale e costituzionale. E anche i suoi alleati, dall’Ncd a Scelta civica, lo aspettano alla prova con riserva di giudizio, pronti a scaricarlo al primo segnale di difficoltà. Perciò la sua impresa è ai confini dell’impossibile, pur essendo l’unica da tentare, nelle condizioni in cui si trova il Paese. La contesa, a guardarla bene nell’insieme, è di segno culturale: si scontrano il renzismo e l’antirenzismo, due concezioni diverse e alternative non solo della politica, ma della vita. L’esito, qualunque sia, avrà effetti epocali come in tutte le vicende in cui a dominare è la trasversalità d’un pensiero. Di un’azione. Di un progetto.
© riproduzione riservata