«Rido in faccia alla paura e alla malattia. Così vincerò»

La storia - Gessica Sacchetto si racconta per guarire e aiutare altri a guarire con lei

In questi giorni, grazie ai tanti volontari scesi in piazza con le tradizionali uova di Pasqua, si è sentito parlare molto di AIL. Per me, l’ Associazione Italiana contro le Leucemie, Linfomi e Mieloma, non è una semplice associazione ma una seconda famiglia.Tutto iniziò nell’inverno del 2012. Fino a qualche giorno prima conducevo una vita frenetica, dividendomi tra l’organizzazione di eventi e il lavoro in un salone di parrucchieri. Dormivo 4 ore a notte per potermi dividere al meglio tra i miei due lavori. Mi sentivo sempre stanca, ma davo la colpa al mio stile di vita; avevo un sacco di prurito che giustificavo con le mie svariate intolleranze alimentari e una fastidiosa tosse secca nel periodo invernale. Ma a chi non capita di averla nei mesi più freddi? Continuai così per un bel periodo, finché un giorno sentii un grande bozzo nel collo. Fu la mia fortuna, un campanello d’allarme. Spinta da un amico – che fin da subito si rivelò prezioso per me – a fare ulteriori controlli, feci delle indagini più accurate cambiando anche medico di base.Fu la mia salvezza. Il 7 febbraio 2012 mi diagnosticarono un Linfoma di Hodgkin, malattia maligna al sistema linfatico. Fino a quel giorno non l’avevo mai sentita nominare.Un nome così complesso, strano, ma soprattutto sconosciuto. All’inizio proprio non lo capii: la mia mente aveva smesso di percepire informazioni quando il medico pronunciò le parole “tumore maligno”. A 25 anni mai mi sarei aspettata di dover fare un testa a testa con il mio corpo. Non nego di aver avuto un crollo interiore, non mi capacitavo di ciò che mi stava succedendo, ma soprattutto avevo una grandissima paura alimentata dal non sapere cosa mi aspettava. Ricordo le ore trascorse davanti al computer a navigare alla ricerca di risposte, di conforto, di supporto. Ma

non sempre trovavo ciò che realmente mi aspettavo.Dopo la prima lunghissima seduta di chemioterapia decisi che ce l’avrei fatta e mi feci due promesse: in primis che non avrei mai perso il mio sorriso e in secondo luogo che non dovevo abbandonare la mia mente a se stessa. In ospedale mi riconoscevano come la ragazza sorridente dai foulard colorati che non mi son mai sognata di mettere in testa: sono sempre stata orgogliosa della mia pelata.Grazie a questa mia esperienza ho potuto conoscere molte persone meravigliose, pazienti con cui ho instaurato un rapporto fraterno e tutto il personale ospedaliero, perché in quelle situazioni anche l’addetto alle pulizie diventa un importante contatto umano.Con questa mia esperienza ho potuto confermare il ruolo importantissimo della nostra mente. Ci può portare alla vittoria, ma anche alla disfatta.Ecco perché sono qui oggi a dirvi che non bisogna mai mollare, si deve credere in se stessi e in ciò che si fa sempre. A quasi due anni dall’auto trapianto di cellule staminali, che paragono spesso alla formattazione del computer, non posso ancora cantar vittoria, ma proprio in virtù di quanto ho vissuto e conosciuto, affronto l’esistenza con grande serenità interiore.Dal momento che ho avuto la grande fortuna di avere al mio fianco una persona che conosceva bene la malattia – non per sentito dire, ma perché l’ha vissuta molto da vicino – so quanto possa esser d’aiuto una figura di questo tipo. Non sono un medico ematologo nè una psicologa, ma se tra voi ci fosse qualcuno che ha bisogno di parlare con una persona amica, una persona che ha vissuto i lunghi ricoveri, ma che non ha mai perso il sorriso e la speranza, non fatevi problemi a contattare la sezione AIL di Varese chiedendo di Gessica. AIL è ricerca, cura ma soprattutto sostegno.