Rispetto per Cecco Avanti tutti uniti

Francesco Caielli, nell’editoriale di oggi, commenta e analizza le dimissioni di Cecco Vescovi dalla carica di general manager della Pallacanestro Varese

Senza Cecco Vescovi, oggi, la Pallacanestro Varese sarebbe morta. Tutte le partite, tutte le delusioni, tutte le incazzature, tutti i sogni (quelli vissuti e quelli infranti) dell’anno degli Indimenticabili: non sarebbe successo nulla di nulla. Occorre ricordarlo e ribadirlo oggi, perché in troppi da queste parti hanno la memoria corta e non sanno cosa sia la gratitudine.
Verso Vescovi questa città ha un debito eterno: per quello che ha fatto sul campo da giocatore (lo scudetto del 1999 l’ha

vinto anche lui) e soprattutto per quello che ha fatto poi fuori. E finché noi avremo voce lo ribadiremo, lo scriveremo, lo grideremo. La storia tra Vescovi e la Pallacanestro Varese non doveva finire così: punto e basta.
E questo non significa che noi “stiamo dalla parte del Cecco”: perché l’ultima cosa di cui ha bisogno la Pallacanestro Varese (oggi davvero a un passo dal baratro, dalla retrocessione, dalla morte) è una divisione in fazioni.
Chi sta da una parte contro chi sta dall’altra. Perché le dichiarazioni di facciata sono una cosa, la realtà è un’altra: quelle dimissioni arrivate improvvise dopo che il giorno prima Coppa e lo stesso Vescovi avevano compattato l’ambiente “uniti fino alla fine” sono figlie di qualcosa.
Di qualcosa di grave e improvviso, evidentemente accaduto nella giornata di mercoledì, che è andato a distruggere un equilibrio che era precario ma che sembrava poter reggere almeno fino al termine della stagione.
Che Vescovi e Pozzecco non si sopportassero più, qui a Varese, lo sapevano pure i sassi: evidentemente, la corda si è spezzata. Non entriamo nel merito, non ci interessa sapere quel che è successo: chi ha ragione e chi ha torto, chi ha sbagliato e chi ha la coscienza pulita. Però siamo giornalisti, e il nostro dovere è quello di dire le cose come pensiamo che stiano, cercando di non prendere in giro nessuno.
Poi abbiamo, come tutti, un dovere morale: quello di guardare avanti anche se è difficile. Ed è al presidente Stefano Coppa che ci rivolgiamo: all’uomo che, gli piaccia o no, ha in mano il futuro di questa società. Auguri, non sarà facile. L’imperativo è quello di unire una squadra che oggi appare sfilacciata, demotivata, spaurita e molle: Kangur e Diawara sono gli unici ad aver capito dove si trovano e quel che gli sta succedendo attorno, e oltre a loro due è notte fonda. E con Kangur e Diawara non ci si salva. L’imperativo è quello di compattare un’area tecnica oggettivamente allo sbando: Pozzecco, maestro nel regalare entusiasmi e cavalcare le passioni, dovrà inventarsi capace di motivare il suo gruppo e toccare i tasti giusti per risvegliare chi si è addormentato. Attorno a lui, dal suo staff fino ad arrivare a un Giofrè ormai pubblicamente sfiduciato dalle parole di Coppa, facciamo fatica a trovare qualcuno che lo possa aiutare.

Presidente: si inventi qualcosa. Per salvare il futuro immediato e costruire quello che verrà (faccia una telefonata a Cappellari e una a Bruno Arrigoni), per salvare un’altra volta la Pallacanestro Varese. Si faccia aiutare, in tutto questo, dal suo istinto e dall’unica persona che può affiancarla in questa missione. Il suo nome è Renzo Cimberio.