– La maestra Rita Paolocci, il sorriso freschissimo e il profumo di primavera, è nata ad Assisi il 22 luglio del ’46 dove rimane fino a 21 anni «ad assorbirne spiritualità, profumi e colori». Figlia unica di un tassista e di un’impiegata, occhi azzurri e capelli biondi come il grano, vive la gioventù in mezzo ai campi ed ai bambini. «Stavano ore a sentirmi raccontare storie di fate. E intanto io coltivavo il mito della mia maestra Luisa di seconda elementare, una donna che regalava la gioia di imparare, in forte contrasto con l’insegnante arida, nozionistica e anche manesca che avevo avuto negli anni successivi. Luisa, che condivideva il suo sapere senza imporre e che non aveva mai commesso un’ingiustizia, studiava con gli alunni proprio come ho sempre fatto io prendendola a modello».
Dopo le magistrali, la giovane si iscrive a Pedagogia ad Assisi in un’università privata. «Dopo un paio d’anni fallì – racconta ancora la maestra Rita – Io, che avevo un’ottima media, feci il trasferimento a Perugia. Ma l’ambiente familiare non mi consentiva di essere serena come avrei voluto; così, da quella ribelle e contestatrice che ero, presi il treno e mi ritrovai a Milano a fare la tata, fino a quando non trovai lavoro come venditrice dei Quindici,
l’enciclopedia per i ragazzi più in voga di allora, che era stata supervisionata dal famoso pedagogista Aldo Agazzi. Un bel giorno mi proposero di aprire una filiale mia e mi fecero scegliere fra tre città, fra cui c’era Varese. Durante il giro aziendale mi avevano portato a mangiare un favoloso risotto col persico da Mariuccia: io, che ero di altri sapori, mi innamorai di questa cucina di lago e dei meravigliosi panorami. E su due piedi decisi di trasferirmi qui: era la fine degli anni Sessanta».
Dopo aver preso alloggio dalle suore, la giovane Rita inizia la sua carriera di venditrice porta a porta nella Città Giardino. «Un giorno di febbraio del ‘71, c’era la neve, mi trovavo al ristorante Gestore con i miei colleghi e conobbi Mario Alioli, il famoso pittore. Stava pranzando con le sue modelle e aveva 18 anni più di me. Mi venne incontro con il suo metro e novanta: era bello come il sole. Fu un colpo di fulmine, ma non andammo subito a vivere assieme: per l’epoca frequentare un artista era già un mezzo scandalo, e poi non volevo soffocare la sua vena creativa». Si sposarono nel 1982, «con grande gioia di mio padre» ricorda Rita. Nel frattempo la maestra Paolocci coronava anche il mio sogno professionale: «Avevo venduto i Quindici a Giovanna, la figlia del dottor Carlo Balzarini, che insegnava al Collegio Santambrogio e stava andando in maternità – racconta -Mi presentò alla madre superiora; lei non sarebbe più tornata ad insegnare perché voleva fare la mamma. Così iniziai la mia carriera di maestra sostituendola in questa splendida scuola con una prima di 32 alunni. Sei anni dopo avrei avuto in classe la sua bambina, Chiara».
C’erano, all’epoca, due sezioni. «Eravamo tutte laiche tranne due suore, madre Mariangela, bustocca, e madre Elena, di Napoli, che oggi è in via Luini – annota Rita – Quando arrivai io c’erano ormai solo asilo, elementari e medie e avevamo ancora il dormitorio con le interne, ma negli anni Sessanta c’erano stati anche magistrali e liceo. Mi ricordo di madre Bianca, la superiora, che suonava il pianoforte con le sue mani bellissime, e di madre Ortensia, la sua vice, e la bellissima chiesa affrescata dove si facevano le prime comunioni con una ritualità semplice che era un unicum in Varese».
Furono diciannove anni splendidi con famiglie unite, una realtà serena. E per un paio d’ore alla settimana Mario andava ad insegnare disegno nella sua classe.
«Era davvero come fossero figli nostri» ammette la maestra.
Ma poi essendo le suore anziane, le spese tante, il collegio si avviò verso la chiusura. «Fui licenziata per garantire il posto ad una collega con maggiore anzianità e per me iniziò un periodo buio – ricorda Rita – in cui fortunatamente ebbi un enorme sostegno da Mario e da un’amica che si era presentata all’improvviso nella mia vita: Fiorella. Era una mamma di un mio allievo, mia coetanea, e lavorava alla centrale del latte. Io conoscevo la suocera, a cui lei affidava il bambino al pomeriggio, e lei, che si faceva delle colpe per il fatto di essere via tutto il giorno, mi disse che le sarebbe piaciuto conoscere finalmente la maestra di suo figlio. Iniziammo a frequentarci e la nostra grande amicizia dura tuttora: mi arriva con le polpettine e i ravioli, mi tira su il morale, facciamo shopping e la giornata passa in allegria, specie dopo la morte di Mario, avvenuta nel 2011. Quando le donne con una sintonia di intenti si incontrano, sono capaci di smuovere il mondo».
Tramite Fiorella, Rita si reimmette nel mondo del lavoro come assicuratrice. «Ma non era il mio mestiere. Un giorno, mentre piangevo sull’ennesima polizza a vita da vendere, chiamai un’altra cara amica: il giorno dopo, grazie a lei, ero a la Monda, il centro antroposofico di Arcisate fondato da Irene Vigevani Cattaneo». E nel ’97, finalmente, Rita torna ad insegnare a Maria Ausiliatrice, «nelle sezioni di sant’Ambrogio: ma il mondo dei moduli non era il mio. Nel ’98 ebbi una quarta steineriana a Trecallo di Cantù. Mi alzavo alle cinque del mattino, facevo i salti mortali. Non fui apprezzata perché ero avevo un’impostazione troppo tradizionale».
Ma la riscossa per la maestra Paolocci era ormai alle porte. «Quando aprì la Scuola Bosina a Calcinate del Pesce, la mia amica ed ex collega Manuela Marrone mi volle al suo fianco: ci rimasi fino allo scorso settembre. La mia ultima quinta, il regalo più bello, è stata la degna conclusione di una vita dedicata all’insegnamento ed ai bambini». Che, ci tiene a ribadirlo ancora una volta, «ho amato veramente come fossero stati tutti figli miei».