Rumba Congo, il successo (fittizio) delle Concubanas: la musica creata dall’IA che conquista il web

Un milione e mezzo di visualizzazioni per un gruppo mai esistito: il caso emblematico del potere e dei rischi della musica generata dall’intelligenza artificiale

Un suono irresistibile, una storia affascinante, un successo travolgente. Ma nulla è reale. “Rumba Congo”, la canzone che ha fatto esplodere il fenomeno delle Concubanas su YouTube, è il prodotto di un esperimento riuscito: un gruppo musicale interamente inventato dall’intelligenza artificiale, dalla musica alla biografia.

Sotto al video — che ha raccolto circa 1,5 milioni di visualizzazioni in pochi mesi — si racconta della nascita della band nel 1971, frutto dell’incontro tra Marcel Boungou, percussionista congolese, e Ramon “El Fuego” Hernández, trombettista cubano, durante uno scambio culturale a Cuba. Una narrazione coinvolgente, arricchita da riferimenti a sonorità di salsa, rumba e son. Ma poi, la rivelazione:

“Tutto quello che avete sentito o letto è finzione. Ma chi se ne frega della verità, ascoltate.”

Il brano e la band non esistono. Non sono mai esistiti. L’intera operazione è un progetto di musica generata dall’IA, realizzato attraverso prompt accuratamente costruiti. E proprio come “Rumba Congo”, centinaia di altri brani di jazz, rock, salsa e altri generi stanno emergendo sulle piattaforme, generati da algoritmi ma presentati come autentici.

Secondo El País, si tratta di un fenomeno crescente che sta riscrivendo le regole dell’industria musicale. Se fino a poco tempo fa l’IA veniva usata per creare musica d’ambiente o elettronica, ora produce anche brani pop, hip-hop, jazz, reggaeton e ballate, confezionati con cura, spesso indistinguibili da quelli reali.

Il business della musica artificiale

I numeri parlano chiaro: uno studio della CISAC (Confederazione Internazionale delle Società di Autori e Compositori) prevede che i ricavi dalla musica generata da IA passeranno da 100 milioni di euro nel 2023 a 4 miliardi nel 2028. Entro quella data, si stima che il 20% delle entrate globali del settore musicale deriverà da contenuti non umani.

Un dato che non lascia indifferenti. Da una parte, gli ascoltatori sembrano apprezzare — spesso senza rendersene conto — la qualità e la varietà della musica creata artificialmente. Dall’altra, si aprono questioni etiche, artistiche e legali di grande portata.

Il problema della trasparenza

«Non c’è modo per le persone di sapere se una canzone è frutto di IA o meno», sottolinea María Teresa Llano, professoressa dell’Università del Sussex ed esperta di creatività e intelligenza artificiale. «Non puoi trovare l’artista che hai ascoltato, e questo pone un problema di trasparenza e responsabilità.»

In un panorama dove l’identità e l’autenticità contano, il confine tra sperimentazione creativa e inganno commerciale diventa sottile. La mancanza di indicazioni chiare rischia di penalizzare i musicisti reali, minando la fiducia del pubblico e creando un mercato opaco in cui il valore dell’arte umana viene messo in discussione.

La domanda resta aperta

Se l’intelligenza artificiale è in grado di creare una musica convincente, coinvolgente e virale, quanto conta ancora l’autenticità? E soprattutto: chi siamo davvero disposti ad ascoltare, se non sappiamo chi c’è dietro le note?