Sannino e la sua promessa solenne

L’allenatore della doppia promozione ieri era nella città che ormai è diventata anche un po’ sua: «Io e Sogliano eravamo la coppia perfetta perché ci guardavamo negli occhi prima di decidere»

Ognuno, nel veder morire il Varese nel crepuscolo della serie B, ha la sua immagine personale che gli balza alla mente. Un ricordo, un appiglio, qualcosa a cui legarsi per non stare troppo male ora che tutto sta finendo. E per tanti quell’appiglio ha il volto, le parole e il cuore di Beppe Sannino. Simbolo se ce n’è uno di quell’avventura unica e (chissà) irripetibile, Sannino è uomo capace di catalizzare le emozioni: non è solo

un pallone che rotola, non è solo uno sport. Beppe Sannino se n’è andato da Varese e forse mai se n’è andato: da qui ha spiccato il volo per toccare il cielo, qui torna ogni volta che ha bisogno di fare il pieno di stima.Ieri era qui, in una passeggiata in Corso Matteotti surreale e trasformatasi in un percorso a ostacoli per tutte la gente che a ogni passo lo fermava. Una giornata varesina. Una giornata bella.

«Finalmente ho comprato casa qui: un appartamentino, un posto in cui andare ogni volta che ho voglia di staccare e trovare un po’ di affetto. Quando torno qui incontro solo amici, gente che mi vuol bene e a cui voglio bene, anche solo per un caffè o un aperitivo. È importante: significa che qui ho lasciato qualcosa, qualcosa che va al di là dello sport e del Varese».
Ecco perché si può parlare con serenità: anche dello sport, anche del Varese. «Chiaramente sto male, che discorsi. Ripenso a tutti i sacrifici che sono stati fatti, alla passione di tante persone, ai sacrifici e alle lotte fatte: a quelle perse e a quelle vinte. Vedere che tutto va in fumo fa star male e soprattutto fa sorgere una domanda. Mi guardo indietro e mi chiedo: perché? Com’è stato possibile disperdere un patrimonio del genere, buttare via tutto, distruggere una società che era un gioiello?». Intanto è successo, è successo eccome. Con le cronache sportive che si sono intrecciate a quelle giudiziarie ma, anche qui, Sannino si è fatto la sua idea. «Io ho conosciuto Rosati e Montemurro, ho lavorato con loro. E siccome di mestiere non faccio il contabile o il fiscalista ma faccio l’allenatore, posso parlare di questo aspetto del loro lavoro. Io devo ringraziarli, perché hanno avuto un merito: si sono affidati alle persone giuste lasciandole lavorare. Sul campo c’eravamo io e Luca Sogliano, e quando hai un direttore sportivo così significa che hai ben chiaro in mente quello che vuoi fare e dove vuoi andare. Perché Luca è unico: un ragazzo serio, allergico alle prime pagine ma capace di dare tantissimo chiedendoti indietro poco o nulla. Questo significa che io un buco così grande nei conti del Varese non me lo so spiegare. Penso ai contratti dei giocatori che erano con me, penso allo stipendio che avevo io, e dico no. Il nostro era un calcio pane e salame, fatto di passi che non erano mai più lunghi della gamba.Questa era la nostra dimensione, perché diciamocelo chiaro: la serie B è la realtà ideale per questa città, l’abito giusto per Varese. Peccato, peccato averlo gettato via».

Eppure la squadra, questa squadra. Quali errori ci sono dietro? «Quando io lavoravo con Luca c’era qualcosa di imprescindibile tra noi: eravamo d’accordo sulle cose più importanti, sulle scelte decisive. Io ascoltavo lui, lui ascoltava me: non si faceva nulla se non ci convinceva in pieno. Io a Bettinelli voglio un bene dell’anima: lui l’anno scorso è arrivato e ha fatto un miracolo salvando il Varese. Poi quest’anno è successo che in società sono cambiate tante persone, troppe persone. Due persone che decidono sono già troppe, figurarsi se a metterci il becco sono in cinque o sei. Ecco: se ognuno di quelli che quest’anno hanno preso decisioni nel Varese si facesse una domanda, “cosa ho sbagliato?”, credo che si potrebbe capire molto sui motivi che hanno fatto andare così questa stagione».
E il Beppe quando torna ad allenare? «Non vedo l’ora anche se non sono stupido. So che fino a qualche anno fa potevo ambire a qualche grande panchina ma che poi ho fatto delle scelte, Watford e Catania, che pagherò. Però io so una cosa, e questa cosa la so per certa: a Varese ho dato tanto, da Varese ho ricevuto tantissimo. Quello che ho vissuto qui non lo vivrò da nessuna parte, mai. Quindi, tornerò: l’ultima panchina della mia carriera sarà quella del Varese. Tornerò ad allenare il Varese e lo farò gratis, non chiederò un euro, non vorrò nulla. Tornerò ad allenare il Varese, e poi smetterò di fare questo mestiere una volta per tutte. Quando succederà? Non lo so. Ma succederà».