Sannino: “Rivivo in Castori E corro nel buio di Masnago”

VARESE Castori e Sannino si danno del tu: diversissimi tra loro ma allo stesso tempo più simili di quanto credessero, uniti da un cuore che batte allo stesso modo ogni volta che si affaccia su un campo di pallone. Uniti da un passato comune, fatto di fango e gavetta, fatto di lotte per conquistarsi ogni maledetto metro.

Ti conquista con l’umanità
«Io e Castori – ricorda Sannino – ci siamo conosciuti sul campo quando lui allenava ad Ascoli e il Varese andò là a giocare. Non ci eravamo mai parlati, e durante il riscaldamento lui abbandonò la sua squadra e venne verso di noi: mi strinse la mano e mi disse “Sannino lei mi piace, perché è venuto dalla merda come me”. Io ci rimasi e non risposi nulla, ma in quel preciso momento quell’uomo mi aveva conquistato».

Uomini rudi, abituati a guardare in faccia le persone e dire quel che pensano anche a costo di farsi del male. «Sapete – continua Sannino – cosa odio di più? Le etichette. Perché quando si appiccica un’etichetta addosso a una persona, nessuno gliela leva più: e questa cosa fa schifo. Castori ha addosso un’etichetta, perché ogni volta che si parla di lui automaticamente si parla del fattaccio di Lumezzane-Cesena: e quest’etichetta se la porterà dietro tutta la vita. Io conosco un altro Fabrizio: una persona seria, onesta e passionale».

Non impone, ma trasmette
Poi, il Castori allenatore è tutto un altro paio di maniche. «E qui – dice Sannino – parlano il campo e i risultati. E allora dico che Fabrizio è un allenatore intelligente perché è arrivato a Varese e non ha imposto nulla, ma ha sposato un modulo diverso da quello a cui era abituato. Perché ha capito che snaturare questa squadra sarebbe stato un boomerang».

E a sentirla così sembra che Castori non abbia portato nulla di nuovo, invece no: «Per fortuna il calcio è altro, non è solo un modulo e non è solo uno schema. Si gioca con il 4-4-2, ma dietro c’è il mondo: ed è in questo mondo che si muove l’allenatore. Quando sono andato a Siena non ho cercato di imitare il gioco di Conte, ma ho fatto il Sannino. Fabrizio ha messo il suo: il carattere, l’aggressività, la battaglia. Ecco: quando dice che si rivede nel mio Varese credo si riferisca proprio a questo, e la cosa mi riempie di orgoglio. E poi, guardiamo i risultati: Castori è quarto, e tutte quelle critiche attorno a lui e al suo Varese mi fanno sorridere. Perché non hanno senso».
Sannino, oggi. «È un uomo che gira per il mondo a guardare il calcio. Sono stato in Qatar dall’amico Spillo Altobelli a conoscere una realtà nuova, a vedere un paese che si prepara ai mondiali del 2022. Sono stato a Londra ma anche una settimana a Chiavari per seguire l’Entella dove c’è un giovane allenatore che si chiama Luca Prina, che sta cercando di inventare qualcosa».

A volte vorrei gridare
E gli occhi di Sannino si velano un po’: «Vedo poche partite, ma tantissimi allenamenti: amo guardare gli allenatori emergenti perché amo i loro occhi sognanti, la loro voglia di arrivare, la loro verginità. Li guardo, faccio un salto indietro di trent’anni e mi rivedo in loro. La verità è che mi manca il campo: sono in giro a correre, e spesso passo di fianco a campetti dove gruppi di ragazzini si stanno allenando. E mi verrebbe voglia di gridare “Oh, io sono Sannino, fatemi entrare che faccio allenamento con voi”. Ma non lo faccio mai». E Varese. «È casa mia. Tre settimane fa sono arrivato da Londra alle dieci del mattino, e alle nove di sera avevo il volo per andare in Quatar: mi sono fatto lasciare al Palace, mi sono cambiato, e sono andato di corsa allo stadio. Ho corso per dieci chilometri sulla pista, al gelo, e idealmente ho rivisto gli spalti pieni e sentito il rumore: poi sono tornato in albergo, che già faceva buio».

Francesco Caielli

a.confalonieri

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