In attesa di tornare a Varese dove da oggi si inizia con il pre-raduno ad appannaggio dei giovanotti della truppa Moretti, Bruno Arrigoni è a Milano, a casa sua. Dopo le fatiche del mercato infinito, ecco il (breve) riposo del guerriero.
Non lo posso sapere ora: manca il campo. Mi auguro di esserlo fra qualche tempo, perché vorrà dire che le risposte arrivate dal parquet saranno state positive. Nel sintetizzare le fatiche di questo mese cito una frase di uno dei procuratori italiani più importanti, Riccardo Sbezzi: «I giocatori vanno messi uno vicino all’altro, non uno sopra l’altro». Tutte le ansie, le preoccupazioni, lo stress delle scelte e della ricerca di un equilibrio, nonché la necessità di pesare con la bilancia ogni decisione sono finalizzate solo al risultato finale: il gruppo nella sua interezza.
All’ansia della scelta, subentra quella della trattativa. Quando decidi di puntare su un giocatore ben preciso, automaticamente scarti tutti gli altri: se poi l’operazione non va a buon fine, sei costretto a ricominciare da capo. Ma anche una volta trovato l’accordo non tutto può dirsi concluso: le firme non arrivano
in trenta secondi, c’è chi è in montagna o al mare e non si fa trovare, c’è chi è in un posto dove non prende il telefonino e non si riesce a contattare. Insomma: l’angoscia ti pervade fino alla fine e in realtà sparisce solo quando vedi il prescelto scendere dall’aereo.
No, in quel caso è stata tutta una questione riguardante la rappresentatività del giocatore. Il vero discrimine in un’operazione di mercato è il ruolo della controparte con cui ti rapporti. Mi spiego: se si tratta dell’agente diretto dell’atleta tutto si fa più semplice, perché sai che ogni aspetto dell’operazione passerà da lui; se invece – come a volte capita con gli americani – questa persona è un intermediario europeo o italiano dell’agenzia che segue il giocatore, i passaggi sono molto mediati, perché chi tratta ha un potere decisionale ridotto e ci sono cose che non può controllare.
Sono tante e concernono i cambiamenti cui è andata incontro la nostra pallacanestro negli ultimi anni. Il campionato italiano si è impoverito dal punto di vista economico: la forza contrattuale delle nostre società è pertanto minore rispetto a qualche tempo fa e nazioni come Francia e Germania ci fanno una concorrenza che prima non esisteva. Si fa fatica a spendere certe cifre e c’è anche un ostacolo in più nella scelta degli americani, rappresentato dalla D-League. In primis perché la lega di sviluppo è ora emanazione diretta della Nba ed ha quindi acquisito una certa importanza per i giocatori a stelle e strisce, poi per una questione di buyout: chi firma in D-League diventa automaticamente un sogno impossibile per molti, perché bisogna pagare 50 mila dollari per liberarlo. Una clausola del genere riduce anche la capacità di sostituzione durante l’anno.
Si è delineato un certo equilibrio, dovuto alle disponibilità economiche delle società: in un modo o nell’altro i soldi a disposizione sono quelli per tutti, possono variare fino a un massimo del 20%. Per questo i valori tecnici sembrano similari.
Si deve parlare al plurale. Contano le scelte e non la scelta: come dicevo prima è la composizione del gruppo che fa la differenza. E poi conta la sintonia tra il ds e l’allenatore, sempre per questa ragione.
L’agente di un atleta affermato mi ha detto: non veniamo a Varese perché vogliamo più soldi e più visibilità europea. Gli ho spiegato che – insieme al Real Madrid – Varese ha la tradizione continentale più florida. Poi mi sono fatto un elenco di altri che hanno ci hanno rifiutato: voglio vedere dove andranno a finire. A parte tutto io ho sempre cercato giocatori emergenti. Mi piace la novità, ma non fine a se stessa: mi piace l’idea di prendere chi sa di dover dimostrare ancora qualcosa. Certo è un rischio, ma dico che le poche volte in cui sono andato sull’usato sicuro – e parlo esclusivamente di giocatori stranieri – sono rimasto deluso.
Senza dubbio, sono molto soddisfatto. Per me Varese è ancora la “Regina d’Europa”, come quando arrivai nel ’73 la prima volta da Milano.