«Se Maynor sta bene, ok. Altrimenti…»

Charlie Recalcati parla della sua ex squadra e del campionato. Poi piange la morte di Cameron Moore

Parlare con Carlo Recalcati vale a godere di una sensazione: certe persone non se ne andranno mai dal mondo che hanno amato per una vita intera. Impossibile mettere in archivio una parte così sovrabbondante della propria anima, nemmeno quando il casellario giornaliero è barrato all’opzione “disoccupato”. Per il coach che a Varese sarà sempre ricordato come quello della Stella, l’assenza di una panchina da guidare è una sorta di novità, non tale – però – da produrre rammarico evidente. Anzi: dall’altra parte del “filo” troviamo un analista interessato e divertito delle italiche e cestistiche vicende, senza peli sulla lingua – come sempre – su nessuno. Nemmeno su Varese. Nostalgia bandita. Anche se, in fondo in fondo…

I risultati confermano le previsioni. Milano sa essere competitiva anche senza tre giocatori, mentre la Caserta che batte Reggio Emilia “dice” che le squadre accreditate appena dietro l’EA7 devono stare attente: se non giocano bene possono perdere, contro chiunque. Vale anche per Venezia, che ha fatto fatica contro Cantù. In coda, poi, quest’anno ci sarà equilibrio: trovare la classica “già retrocessa” è impossibile. Sarà un torneo in cui conteranno molto le “strisce”, sia di vittorie che di sconfitte.

No, non c’è. Ci sarà semmai una sfidante, difficilmente individuabile ora, che però nel momento in cui si arriverà alla finale playoff dovrà vedersela in sette partite contro la squadra di Repesa… E sarà difficile possa batterla. Discorso diverso per le Final Eight di Coppa Italia: in partite secche anche Milano potrà perdere. E poi anche l’Eurolega conterà nel cammino dei meneghini: non dimentichiamoci che – dovessero fare strada in Europa – questi ultimi potrebbero arrivare a giocare fino a 90 partite.

Partiamo dal mercato: è stata costruita una squadra lunga e coperta in tutti i ruoli, adatta a sopportare il peso di due competizioni. L’impressione che ho ricavato dal vivo è che Maynor sia molto, molto indietro: non fa uno scatto, non recupera in difesa. Dalla sua crescita dipende in toto la stagione di Varese: se il play americano rimane così sarà davvero difficile far bene, perchè questa Openjobmetis è basata su di lui. La chiave, poi, sarà anche un’altra.

Trovare una dimensione che permetta di avere in campo due lunghi pronti ad aprirsi entrambi fuori dall’area, lasciando così lo spazio adatto ad Eyenga per attaccare il canestro o giocare in post basso.

Si lo è, così come lo è Pelle. Tutti e due sanno lavorare bene sul pick and roll. L’efficacia dei giochi a due dipenderà, mi ripeto, dalla condizione del regista.

Non dipenderà solo da lei… Nel campionato attuale si profila un tale equilibrio che raggiungere i playoff non sarà facile per nessuno. Ci sono tante squadre ancora da “scoprire”: il loro rendimento può condizionare le fortune della Openjobmetis.

Allestita in ritardo ma a una prima impressione piuttosto competitiva. Rimangono i dubbi sulla stabilità societaria…

Ho visto giocare i brianzoli al “Lombardia” e poi domenica contro Venezia: di miglioramenti ne ho notati parecchi. Se non si fosse fatto male Dowdell, contro i lagunari se la sarebbero giocata fino in fondo. Trovo che Cantù abbia un reparto lunghi molto ben attrezzato, non così gli esterni, tra i quali – forse – manca proprio un cambio del play che sappia accendere la fantasia.

Sono molto felice soprattutto che il Toto sia tornato a respirare l’aria degli spogliatoi. Io e lui siamo due anziani rimasti eterni giocatori: stare nell’azione ci aiuta a mantenerci giovani e in forma. L’esperienza che potrà dare alla causa biancorossa non si conta: è stato un peccato mortale non attingere a essa per lungo tempo, sia a Varese che in generale nella pallacanestro italiana.

Siamo cresciuti insieme, pur se in realtà sportive diverse. Ci ritrovavamo poi a giocare d’estate, nei vari tornei in giro per l’Italia. L’ho riabbracciato a Varese quando sono arrivato la prima volta da allenatore e ho apprezzato molto il suo modo di rapportarsi a me: fece il proprietario, non il presidente. Ci vedevamo quasi tutti i giorni: lui veniva a fare colazione al Campus e parlavamo a lungo di pallacanestro, un piacere irrinunciabile per me vista la sua competenza. Bulgheroni è sempre stato una persona molto rispettosa dei ruoli e lo fu anche in quella parentesi. Con me e con suo figlio Edo, allora presidente, lasciandolo libero di agire e anche di sbagliare.

Ho poco tempo per pensarci ora, perchè in agenda sono tante le cose da fare. Ma sono tutte cose che fra qualche mese finiranno. E allora vedremo… Se devo dire la verità, tuttavia, quando vado a vedere qualche partita dal vivo qualcosa dentro si muove…

Sì, lo farei. Anche se spero vivamente per i miei colleghi che a nessuno di loro capiti di perdere la panchina. Vorrei tuttavia evitare che il troppo desiderio di tornare ad allenare mi faccia accettare qualsiasi tipo di offerta.

È un giorno molto triste per il basket, non solo per me che ho conosciuto e allenato Cameron. Era un ragazzo molto sensibile e innamorato della pallacanestro, un amore che alla fine è arrivato a ucciderlo. Con noi non fece benissimo, forse per come era costruita la nostra squadra, ma a Caserta si dimostrò molto valido. Eravamo rimasti in contatto con lui tramite Julian Stone, che ci aveva dato notizie del suo ricovero in ospedale dello scorso anno; avevamo vissuto con apprensione la sua malattia e con felicità la sua ripresa. Non voglio fare polemica, ma mi viene spontaneo chiedermi chi gli abbia dato il permesso di tornare in campo.