Se ti chiami Leo salvi il Varese Gelsomini rossi

Meraviglioso, crudele, struggente. Andrà così: ammazzarsi di paura o saltare in campo come cavallette pazze di gioia. Pulcini bagnati, draghi assassini. Se gestisci, muori. Vai all’arrembaggio e trionfi: rifatelo a Brescia. Sempre sul filo del rasoio, rischi di romperti il collo o di toccare il cielo. Squadra devastante: in ogni senso. 4-0 alla seconda, e potevano essere 6, ma poi la seconda arriva a un palo dal 4-3. È tutto lì:

fai 5 gol a una squadra da playoff e ne becchi 4 a Vercelli. Non c’è via di mezzo, sempre che il Varese e i suoi tifosi vogliano la via di mezzo: forse, no. Meglio tornare bambini come abbiamo fatto in tremila ieri, a costo poi di invecchiare in un colpo solo. Vorremmo sempre vedere una squadra di ragazzi della via Pal con le fionde: non è una questione d’età, ma di spirito.

La chiave: il rapporto tecnico-giovani-senatori. Uno di noi, uno di voi. E il coraggio di Bettinelli: ha buttato dentro Scapinello, ha rischiato Barberis, ha fatto alzare Miracoli. Ha lasciato in tribuna Petkovic. Ha la forza di aspettare Blasi. Di più: i nomi non contano,

Tecnicamente, tre verità assolute. 1) Quando c’è Zecchin, è un’altra cosa: corner, punizioni e perfino i suoi respiri diventano azioni da gol; Rivas deve stare attento allo Scapinello di ieri perché ha fame, idee e un allenatore che crede in lui. 2) Un regista bravo anche nel lavoro sporco (Capezzi non è

un fighetta che gioca in punta di piedi) e a liberare Corti dalla responsabilità di fare tutto lui, mancava dai tempi di Buba. E si chiama Leonardo, il destino nel nome. 3) Al nucleo storico si aggiunge Rea, per quello che dice e fa: i marescialli non sono come gli ufficiali, ma trascinano la caserma.

Scene da grande futuro che nasce piano, anche tra i rovi di Carpi o Vercelli. Da primo Varese di Fascetti, stagione 80/81, salvo nel fortino di Masnago all’ultima giornata: da lì nacque il miracolo dell’82. Sfrontatezza, incoscienza, riconoscenza, familiarità.

Scene da Lupoli, sotto la tribuna a dedicare il gol ai tifosi, indicandoli uno per uno, poi in braccio a Bettinelli: «Anche quando non gioco, qui mi sento importante». Qui si sente Messi non per il gol ma per quello che lascia in campo.

Scene come lo striscione appeso nei distinti da Martino Caliaro, 25 anni: “La Gorga e Scapinello orgoglio di Varese”. Incarna il nuovo che avanza, la capacità di capirlo e applaudirlo.

Giancarlo Giorgetti dice: «Hanno rubato i ciclamini bianchi e rossi che mia mamma aveva messo sulla tomba di papà Natale». Ieri quei ciclamini sono rispuntati: sul campo.

Franco Vanoni,che cura da sempre l’erba di Masnago, nell’intervallo dal suo seggiolino sull’ultima fila della tribuna laterale rimirava zolla per zolla il campo vuoto. Ci aveva lavorato fino a notte fonda. È stato il miglior (in) campo, cuore e passione tra i fili più dolci del mondo.

Infine, Marco del bar dello stadio: sale in tribuna mentre scende la sera con una birra. Vedendoci soli davanti al computer, ce la offre. È la famiglia biancorossa. Quella che fa tutto col cuore.

andrea confalonieri

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