Da giocatore ad allenatore, dal Varese al Varese. Il cerchio di Giuliano Melosi si chiude così, nel modo più bello. Nel 1985, diciottenne pieno di sogni, esordiva nella squadra di Giorgio Canali. Oggi si siede sulla panchina biancorossa.
«E questa cosa – ci racconta – a pensarci bene mi mette un po’ di tristezza: perché mi ricorda che sono già passati trent’anni».
Ma è solo un attimo, perché a parlare di quei tempi Melosi si illumina. «Quell’annata è stata bellissima, nonostante la retrocessione finale. Per me ogni giorno era un sogno: arrivavo dalla Primavera, ero sulla bocca di tutti. Bellissimo. Le tre stagioni seguenti sono state un po’ meno belle, ma il Varese resta la mia prima squadra. E, si sa, il primo amore non si scorda mai».Insomma, Melosi sa cosa significhi indossare la maglia biancorossa. E non gli sarà difficile spiegarlo ai suoi giocatori: «La maglia del Varese rispecchia alla perfezione il mio modo d’essere. Poche qualità tecniche, ma tanta voglia di sopperire a quelle mancanze con il sacrificio e l’agonismo. Questo è quello che ho sempre chiesto ai
miei giocatori, e le squadre che ho allenato si sono sempre distinte per la loro grinta. Sarà così anche per il Varese».Anche perché durante la presentazione a Palazzo Estense Melosi è stato chiaro, circa gli obiettivi della squadra. «Partiamo ad handicap perché al momento non abbiamo nemmeno un giocatore mentre le altre squadre si stanno tutte radunando. Però io non sono diplomatico come la maggior parte dei miei colleghi, abilissimi a nascondersi dietro alle frasi fatte e a mettere le mani avanti. Il Varese non può permettersi di partecipare: il Varese deve vincere. E noi giocheremo per vincere». Intanto Giorgio Scapini ha già coniato un bel parallelo: «Melosi è il Sannino dei dilettanti». Un complimento mica da poco.
«Non avrebbero potuto farmi un complimento più bello: pagherei per fare nella mia carriera la metà di quello che ha fatto Sannino. Lo adoro, anche perché rispecchia tutte le mie caratteristiche e il mio credo calcistico: grinta, lavoro, e tanta voglia di correre più forte degli altri». Ma vi siete già sentiti? «No, non ancora: ma se dovesse arrivare una telefonata sarei felicissimo. E sarei ancora più felice se un giorno dovesse venirci a trovare al campo: per lui ho una stima infinita».
E ora, al lavoro. «Fosse per me inizierei anche adesso: il problema è che siamo senza giocatori, e per iniziare a lavorare ne servono almeno una dozzina. Bisogna fare la squadra e poi metterci a testa bassa per recuperare lo svantaggio che abbiamo nei confronti degli altri».
Insomma, nemmeno il tempo di emozionarsi. «L’emozione ci sarà, questo è certo. E ci sarà il giorno in cui debutterò di nuovo al Franco Ossola, nelle vesti di allenatore. Ma sarà qualcosa di mio, di molto personale, che non trasmetterò a nessuno e tantomeno ai miei giocatori. Quello che cercherò di trasmettere a loro, ogni giorno, sarà solo il mio entusiasmo»