«Sentire il vento in faccia è un’emozione pazzesca»

Vittorio Podestà, fuoriclasse dell’handbike, si racconta a Varese: «Quando seppi che non avrei più camminato mi mancò la bici»

«Quando il dottore mi ha detto che non avrei più camminato, giuro che non ero preoccupato per quello – esordisce Vittorio Podestà – Mi spaventava non poter salire più in bicicletta, era quello il mio vero problema. Avevo perso l’uso delle gambe quella sera, ma la notizia peggiore fu dover rinunciare alla bicicletta».
Parole non banali, che aprono una serata bellissima, interessante, riflessiva. Più che un incontro, è una chiacchierata intima, proprio come piace al Bof: una serata proprio come la voleva lui. Non poteva di certo essere ovvia una serata con Vittorio Podestà, pluricampione mondiale di handbike, che ci racconta il suo mondo, pre e post incidente. Parla di passioni Vittorio, e anche di problemi, di mentalità.

La sua passione prima dell’incidente era pedalare: «Mi appassionava la bici, più che il ciclismo in sé. Avevo scoperto la mountain bike, era la mia valvola di sfogo. Qualsiasi cosa succedesse, alla sera tornavo dal lavoro, montavo in sella e tutto passava. Proprio per questo, quando mi dissero che non avrei più potuto camminare, fu come se mi fosse caduto il mondo addosso».
Poco tempo dopo l’incidente, Vittorio si buttò nel basket in carrozzina: «Provai

con la pallacanestro, ma nel 2003 cambiò tutto. Lo stesso amico che mi aveva introdotto al basket mi fece scoprire l’handbike: uno spettacolo».
Per Vittorio fu come rivivere vecchie passioni: «Quando ho toccato l’handbike per la prima volta, ho sentito una scarica di adrenalina che non dimenticherò mai. È stato amore al primo sguardo, al primo tocco. Già pensavo a come modificarla, a come sistemarla. Iniziando a pedalare in handbike, ho ripreso a sentire il vento in faccia. È una di quelle sensazioni che, convinto di non poter più montare in bicicletta, pensavo che non avrei più provato. È stato emozionante».
In sala ci sono i ragazzi della Polha Varese e del Velo Club Sommese, i fiori all’occhiello dell’handbike varesina. Si parla sì di emozioni in sala, ma anche di promozione, di crescita, perché l’handbike è uno sport che, grazie all’impegno e alla professionalità di questi ragazzi, sta guadagnando terreno e popolarità, pur con tutte le difficoltà del caso.

«Dal 2008 al 2015 l’Italia è diventata la squadra più forte del mondo, io ho vinto otto titoli mondiali e quattro medaglie olimpiche. Eppure all’inizio il nostro sport era visto un po’ come un fastidio dai ciclisti, era poco tollerato. Perché anche tra i disabili ci sono barriere, divisioni, e anche nel mondo dello sport per disabili c’è chi bara, chi si dopa. Non è che un incidente trasferisca la santità. La mentalità italiana sotto questo aspetto è ancora chiusa: ho girato tantissime scuole e le domande migliori me le hanno fatte sempre i bambini più piccoli. Gli adulti hanno molto da imparare».
Poi il discorso vira sul personaggio di Alex Zanardi, che Vittorio ha conosciuto in circostanze particolari e che ha portato l’handbike ad un livello superiore: «Io e Alex ci siamo incontrati in autogrill, mentre stavo andando in Spagna. Aveva parcheggiato il suo Suv sul posto disabili, ero convinto che fosse il solito bauscia che ci rubava il posto. Poi lo vidi uscire dall’auto con le stampelle e mi chiese subito informazioni sull’handbike. È nata una bella amicizia, perché lui ha provato le mie stesse emozioni salendo in handbike. Alex da subito è impazzito per questo sport: gli ha dato popolarità, perché ha qualcosa di speciale. Che fosse una persona positiva lo capii subito, perché era umile. Nessuno gli ha regalato nulla, si è conquistato tutto da solo».