Senza parole: «La mia storia. In ogni scatto

A tu per tu - Il fotografo Efrem Raimondi si racconta a La Provincia di Varese: «Il vero soggetto è l’autore»

Leggi la frase “La fotografia non esiste”. E pensando a quest’epoca in cui sei vivo solo se posti un selfie già ti interroghi. Poi scopri che a sostenerlo altro non è che un uomo che della Fotografia ha fatto la sua vita. È il manifesto di, 56 anni di cui gli ultimi 33 dedicati all’arte dello scatto. Un uragano che travolge con la sua passione diventata una vita. Tempestata di clic, dei clic più autentici, non di quel suono che ormai simboleggia solo effimere ricerche di approvazione. Una chiacchierata insieme a lui potrebbe non finire mai, e mai se ne avrebbe abbastanza.

C’è una bella differenza tra fotografie e Fotografia. Le fotografie sono semplici strumenti, arbitrari e non oggettivi, dell’arte con la F maiuscola, ma non è detto che una implichi necessariamente l’altra. Le fotografie non fanno altro che rappresentare l’idea che chi le scatta ha del mondo. Oggi si sente fin tropo facilmente dire che le foto hanno un carattere sociale. Pura demagogia.

I social network sono un contenitore sterile di immagini senza un’idea di Fotografia perché non hanno proprio in sé un’idea di mondo reale. Non c’è consapevolezza, solo un’operazione di presenza a tutti i costi a caccia di approvazione. Nessun contenuto, nessun linguaggio. Solo illusione di essere presenti a sè e agli altri.

La mia idea di fotografia, a tutti i livelli, è quella che debba essere uno strumento per raccontare una storia, la propria storia. Se stessi. Del resto ogni forma d’arte, dalla scultura al cinema fino alla pittura e anche alla scrittura, si alimenta con le motivazioni dell’autore stesso.

Non cambia assolutamente nulla. Soprattutto se pensiamo al ritratto, il vero soggetto è l’autore E le dirò di più: quanto più il personaggio è popolare, tanto più è determinante la mano di chi scatta per tirare fuori l’immagine finale e ciò che esprime. È chiaro che in questo caso si instaura per forza una dialettica tra autore e soggetto della fotografia, che deve essere tradotta in dialettica espressiva. Ma bisogna capire chi tiene la regia di questo “dialogo”. Poi è ovvio che quando si lavora “su commissione” bisogna sottostare a una serie di condizionamenti, ma il focus non cambia.

Diciamo che ci sono stati soggetti con i quali ho instaurato una dialettica migliore. Con alcuni, come Vasco Rossi, è basata su un percorso lungo (dal 2000 al 2014). Con altri, come l’archistar Philippe Starck è bastata un’ora. Anzi, l’ultima volta l’ho ritratto in soli 45 secondi: mi ha dato subito quello che cercavo.

Non ho assolute preferenze. Ultimamente però ho avviato un percorso molto interessante sul paesaggio, sull’assenza dell’uomo. Ma è un periodo. Il mio gusto è trasversale, ciò che resta al centro è sempre il linguaggio.

È cambiato tutto, e purtroppo in peggio. Penso per esempio ai magazine. Quando ho iniziato io, le riviste di grido cercavano il talento puro, lo sguardo. E lo valorizzavano. Oggi invece la cifra espressiva si è appiattita su percorsi che rispondono solo alla ricerca di vendite e riscontri economici. Sapesse quanto soffro pensando al passato, quando la ricerca era il lavoro… Il digitale è una meraviglia in sé e per sé, ma purtroppo il modo in cui oggi viene utilizzato ha deformato questo rapporto. Ach’io a volte scatto con l’iPhone, ci ho fatto anche una mostra. Tutto sta all’uso che fai dello strumento.

Se potessi essere sincero fino in fondo gli direi di aspettare 10 anni e vedere cosa succede… Diciamo che ritengo fondamentali due cose. La prima: rimanere sempre ingenui, che significa essere capaci di stare alla larga dai trend, di non emulare ma di essere sempre coerenti con la propria visione e tramutare in espressione ciò che si vede e si pensa. È l’unico modo per emergere. E la seconda è studiare, studiare, studiare. Perché è vero che la tecnica nella fotografia è soltanto uno strumento, ma è fondamentale, è la condizione imprescindibile per esprimere precisamente qual che si vuol dire. Come diceva Marx: “Chi conosce più parole, ha più potere”. Il digitale oggi dà l’illusione di poter saltare la parte didattica, ma chi pensa che sia così è un ignorante.

Il futuro c’è di certo, la domanda è: che tipo di presente sta avendo? Di sicuro nella storia non è mai esistita una tale quantità di fotografie. Ma la qualità? E qui subentra la mia speranza, e cioè che si ricominci a mettere al centro il linguaggio e l’espressione. Sono molto fiducioso nei confronti delle giovani fotografe: hanno una marcia in più rispetto ai maschi, e anche capacità decisamente superiori grazie alla loro millenaria storia che le ha portate ad un punto di dichiarazione espressiva di straordinaria potenza ed autonomia.