Serie D come dignità Varese, oggi rinasci

Teatrino finito: debiti e bugie, biancorossi non iscritti alla Lega Pro. Oggi dal sindaco incontro decisivo per ripartire puliti dai dilettanti

Il Varese 1910 sarà cancellato nel nome, non nella storia. Abbiamo lanciato un video, ieri sera sul sito del nostro giornale che potete ancora vedere, con le immagine di Varese-Cremonese, la partita più drammatica degli ultimi quarant’anni assieme a Lazio-Varese dell’82: in centinaia lo hanno condiviso e commentato, in centinaia hanno pianto e si sono gonfiati il petto d’orgoglio, in centinaia hanno detto “questi siamo noi e non ci ammazza nessuno”.

Nel video, mentre scorrono le immagini dell’attesa (finalmente l’attesa dell’ignoto al posto di quella, scoraggiante e grigia, dell’ultimo anno), il giro di campo pre partita di Sannino, le capriole trionfali di Giorgetti sul prato, l’abbraccio di Sogliano al mister con la camicia sporca di sangue, ottomila persone in uno stesso prato stese dalle emozioni e dal delirio, partono queste parole.

«Tutto si decide oggi: ora noi, o risorgiamo come squadra, o cederemo un centimetro alla volta, uno schema dopo l’altro, fino alla disfatta. Siamo all’inferno, possiamo rimanerci, farci prendere a schiaffi, oppure aprirci la strada lottando fino alla luce. Possiamo scalare le pareti dell’inferno, un centimetro alla volta. Io, però, non posso farlo per voi: i centimetri che ci servono sono attorno

a noi, dappertutto. In questa squadra si combatte per un centimetro, massacriamo tutti quelli attorno a noi per un centimetro. Perché sappiamo che quando andremo a sommare tutti quei centimetri, il totale farà la differenza tra la vittoria e la sconfitta. La differenza tra vivere e morire. In ogni scontro, è colui il quale sarà disposto a morire che guadagnerà un centimetro».

Questo è essere una squadra, come non lo siamo più stati. Come alla vigilia di Varese-Cremonese, o di qualunque partita biancorossa: c’è una possibilità su cento che il Varese abbia ancora una squadra di calcio in serie D, nuova e pulita, dopo che Unni hanno distrutto sogni e capolavori costati undici anni di sudore, sangue e fatica da parte di gente piccola ma onesta e che aveva solo una parola. E quella possibilità verrà giocata oggi pomeriggio davanti al sindaco Attilio Fontana. Prendere o lasciare, dentro o fuori: ci sono gli uomini giusti, i soldi, ancora, non si sa.

Vi diciamo la verità, come sempre: abbiamo un coltello piantato nella gola perché sono stati gli altri, e non noi, a uccidere le emozioni e la passione di migliaia di persone, ma stiamo comunque molto meglio di ieri. Perché l’agonia fa più male di una pagina bianca su cui devi ricostruire tutto. Perché Torino-Varese 1-2, Varese-Torino 3-0, Varese-Siena 1-0, Varese-Verona 2-0 sono nate da giornate così, attorno a un tavolo tra chi vive solo per il Varese attorno al tavolo del sindaco. È come quando torni a casa dopo tanto tempo: possono tagliarti i ponti e tenerti il muso per dieci anni, ma poi l’amore per la maglia biancorossa (ah, da quanto tempo mancava l’amore per la maglia) in qualche modo mettono tutto a posto.

Le idee e gli uomini ci sono ma qualcuno deve metterci i soldi che mancano, non molti, e la faccia scendendo in campo come capo fila della cordata. Il logo c’è già (che delitto aver perso quello del Varese 1910, il più incolpevole e il più pulito di tutta questa orrenda e scandalosa gestione societaria), il nome del nuovo club pure, le persone a cui chiedere di sedersi sulla panchina magari anche – perché non richiamare chi con noi è nato dal nulla ed è diventato grande? Chi con la polvere della serie D si è già sporcato, esaltandosi ed esaltandoci? – e perfino un presidente (finalmente!) che sa di calcio con la stessa bonaria familiarità, l’esperienza e il fiuto di Peo Maroso.
E comunque dall’incontro odierno con Attilio Fontana, per la prima volta dalla finale contro il Novara, non abbiamo più nulla da temere o da perdere (è in queste situazioni che s’esalta l’anima incosciente, povera e folle del Varese), perché di tutto il peggio ci siamo già liberati. E il peggio è rappresentato da coloro che hanno messo se stessi, le loro tasche o la loro bella (anzi, brutta) faccia davanti a quello stemma che vedete qui sopra. Noi, se abbiamo “ucciso” qualcuno, lo abbiamo fatto pensando al Varese mentre loro lo facevano per il proprio ego o portafoglio, per vendetta, per vanità, per visibilità, per sostituire gli insostituibili, per avere l’ultima parola, per consenso e non verità.

La serie B era imperdibile (solo l’incompetenza, l’arroganza e l’ignoranza hanno potuto tanto) e oggi, se va bene, saremo in D. Ma tutto passa, e un giorno ci rideremo su.
«Continuerò a leggere le partite del Varese in serie B sulla Prealpina» disse Nicola Laurenza il giorno in cui si dileguò, fallendo anche l’ultima profezia dopo aver sbagliato tutto. Si consoli: anche tra cent’anni il suo nome sarà scolpito sugli almanacchi del calcio. Accanto, anzi sotto, molto sotto a quello dei Turri.