Serve un Miracolo a Caserta

Si gioca contro una realtà che ha appena perso un pezzo della sua vita sportiva

La morte di Charles Shackleford, lo “scugnizzo” nero della Phonola tricolore (anno di grazia 1991), toglie la polvere da pagine indimenticabili – per potenza emozionale – della pallacanestro italiana, rendendo la Caserta-Varese di oggi (palla a due ore 18.15) una partita carica di significati che vanno ben oltre il qui e ora.

“Shack”, scomparso l’altro ieri negli Usa in circostanze ancora da chiarire, fu il perno dell’unica realtà cestistica del sud Italia a conquistare uno scudetto nella storia del basket nostrano. Atletico, morbido nel tocco, americano d’altri tempi per la capacità di integrarsi a meraviglia nella squadra e nella città che lo ospitavano, Shackleford – rubato alla Nba dal gm Giancarlo Sarti a chiusura di un’epoca segnata da Oscar Schmidt, la “mano santa” – fu quella ciliegina, prima mancante, di una formazione ormai matura per scrivere la propria epopea, anche e soprattutto perché composta di giocatori cresciuti all’ombra della Reggia.

Con lui, ad abbattere Milano dopo tante finali perse, c’erano infatti Vincenzo Esposito, figlio di un assessore comunale, Nando Gentile, pargolo dell’idraulico più famoso della città, e Sandro Dell’Agnello (il coach della Caserta di oggi), livornese di origine ma ormai casertano dentro. Il telecomando in panchina era Franco Marcelletti, ex dipendente del Comune di Caserta, “o’ professore”, a sua volta discepolo del grande Boscia Tanjevic. Pezzi di mito che scrissero altro mito: la vittoria in gara 5 al Forum di Assago davanti a 2000 casertani, Esposito che segue le fasi salienti di quella partita su una barella a bordo campo, dopo essersi fracassato il ginocchio, Gentile che segna – da capitano e a soli 23 anni – i punti decisivi per lo scudetto. Miracolo a Caserta, si scrisse e si disse allora.

Uno più piccolo di miracolo, uno di quelli che non verrebbe mai ricordato nei libri di storia né negli almanacchi, uno dei 14 necessari da qui a inizio maggio, è richiesto oggi alla Openjobmetis Varese di Attilio Caja. Contro un avversario che farà di tutto per ricordare il suo ex pivot («vogliamo onorare con un successo la memoria di Charles, la cui morte mi ha profondamente colpito» ha dichiarato Dell’Agnello alla vigilia), Cavaliero e compagni hanno un’altra chance per spezzare la striscia di sconfitte consecutive “italiane” (arrivata ormai a cinque, otto nelle ultime nove gare) che l’ha fatta finire dritta all’ultimo posto in classifica.

La Varese di Caja ha ormai un substrato di giorni e partite passibile di giudizio. Al netto della sconfitta di Oldenburg, l’epoca di “Artiglio” ha fatto emergere una crescita collettiva che aspetta solo di essere coronata con i due punti: una crescita in termini di efficacia difensiva, una crescita in snellezza offensiva, una crescita in motivazioni e capacità di soffrire. La mancanza di una vittoria, però, rende la sostanza conquistata molto labile, perché sprovvista dell’indispensabile carburante emotivo. Ogni occasione persa da qui in poi dovrà quindi essere recuperata e in fretta, soprattutto lontano da Masnago.

Al PalaMaggiò ci si troverà di fronte l’esercitò di un generale pazzo, inaffidabile, ma anche tanto talentuoso: Edgar Sosa, trascorsi di fuoco con la tifoseria varesina, uomo da 19 punti e 6 assist di media. Lui è la guida, l’imprevedibilità, l’inizio ma non la fine: c’è Putney atletismo e velocità compresse in un fisico smilzo che inganna; c’è Watt, punti e rimbalzi; ci sono il fosforo di Cinciarini, l’esperienza di Gaddefors, un Bostic recuperato dall’infortunio e in crescita.

Due settimane fa Pasta Reggia-Openjobmetis sarebbe stato match senza ex: stasera in campo ce ne saranno ben due, due come gli innesti che la società campana ha compiuto per sostituire Czyz e Metreveli.

E se il primo – Linton Johnson – in biancorosso è stato un cameo di poco conto, il secondo – “Kuba” Diawara, già decisivo all’esordio contro Reggio Emilia – è uno degli stranieri che più hanno amato (ricambiati) questi colori.