Il viaggiare è fatale ai pregiudizi, ai bigottisimi e alle menti ristrette, scriveva Mark Twain. O forse, molto più concretamente, è una delle soluzioni che la vita concede. Quasi a tutti. Quale altro modo per non lasciarsi sopraffare dalla paura e per non darla vinta al magma del terrorismo internazionale, che nulla vuole se non sconvolgere la normalità? Ciò che ancora una volta rimette la strada davanti ai passi è una partita di basket. La meta è la stessa di qualche mese fa, il Belgio, per volere di un calendario sportivo che allora portò la pallacanestro varesina a Ostenda e oggi scrive Anversa nella caselle della destinazione. Passando per Bruxelles? Non proprio, perché nella pianificazione della logistica i terroristi hanno vinto, almeno per il momento, la loro battaglia: l’aeroporto di Zaventem rimane chiuso, infatti, e le compagnie aeree stanno dirottando i loro voli nelle città vicine. Agli appassionati di basket della Città Giardino toccherà Lille, nord della Francia,
pochi chilometri dal confine belga. Poi autobus fino alla capitale europea, poi treno verso le Ardenne: una sfacchinata, profumata di quel disagio che una sola settimana dall’orrore non ha ancora potuto sanare. Che Belgio troveremo? Sicuramente diverso da quello di novembre, sospeso nell’incertezza sul considerarsi o meno obiettivo della guerra del terrore. Ora che tutto purtroppo è compiuto, la curiosità sta nell’andare ad annusare una “ripartenza” che ci coinvolge tutti, che non ammette differenze di nazionalità, che basa se stessa su una lotta della normalità senza confini, da combattere uniti.«Ma come, vai in Belgio nonostante quello che è successo?» è stata la domanda più ricorrente degli ultimi giorni. «Mais oui, mon cher» la risposta pacifica donata a tutti. Senza eroismi, senza protagonismi, senza percepire chissà quale tensione emotiva dietro al viaggio. Ad Anversa si va per una partita di basket, per una normalissima partita di basket, per una splendida – proprio perché normale – partita di basket.