«Virtus e Varese? Due realtà che soffrono dello stesso problema: non hanno saputo difendere nel tempo il loro status di società storiche. Come del resto tante altre nobili, Fortitudo e Treviso in primis. Ed è la loro “malattia” che ha fatto strada al rullo Siena negli anni 2000».
A volte basta una frase a riassumere non solo la brusca fine di un libro di storia che non produce più pagine, ma anche due lustri di un campionato italiano che ha perso i suoi punti di riferimento. Ogni vigilia di Bologna-Varese, o viceversa, ha ormai una costante: la celebrazione di un passato che non esiste più. Questa volta la commemorazione di uno scontro che è valso scudetti, coppe Italia e arene in cui si sono sfidati i campioni più fulgidi dell’epopea cestistica italica la affidiamo ad Andrea Tosi, penna a spicchi della Gazzetta dello Sport e grande cantore del basket sotto le Due Torri.
Viene quasi voglia di mettere il muso, davanti al menù offerto dal presente: «Io sono molto deluso, sia dalla Virtus che da Varese – attacca il giornalista – Entrambe hanno abdicato al loro ruolo, al loro passato. Si è abbassato il livello delle aspettative, a cominciare dalle rispettive dirigenze, e poi quello della qualità. Ma non ci sono solo loro nell’impoverimento della pallacanestro italiana: guardiamo anche a Cantù e a Pesaro. In questo campionato non esiste alcun club che abbia vinto anche un solo scudetto in grado di competere con Milano: chi è nelle prime posizioni oggi, penso a Reggio Emilia, Cremona, Avellino, dieci anni faceva fatica a salvarsi in serie A».
Se dal generale si scende al particolare poi, le lacrime scorrono ancora più copiose. Dov’è finita Basket City? Dove si è cacciata la capitale – tutta italiana, anzi emiliana – del basket europeo? Le Vu Nere in lotta per non retrocedere, la Fortitudo dispersa in serie A2 (e va già quasi bene…): «La gente forse non se ne rende conto e si illude che esista ancora – commenta Tosi – La Fortitudo è finita persino in B2 e meno male che ha i suoi tifosi: oggi, con la squadra decima in seconda serie, al palazzetto vanno ancora 4000 persone, una sorta di miracolo della fede. La Virtus, invece, dalla gestione Cazzola in poi ha perso 500 abbonati all’anno. Mancano i campioni, mancano punti di riferimento in campo, mancano, purtroppo, le idee, oltre ai mezzi economici. E manca soprattutto il derby: riaverlo sarebbe il primo passo per far rinascere Basket City».
Se come sublimazione del dominio bolognese citi la stracittadina-finale scudetto del 1998, Tosi ti asseconda ma ti completa con il derby “esportato”: «L’anno dopo Virtus e Fortitudo si giocarono a Monaco di Baviera la semifinale di Eurolega. Era il 20 aprile: nello stesso giorno il Bologna FC affrontava il Marsiglia di Blanc nella la semifinale di Coppa Uefa. Un’apoteosi per una città di 350 mila abitanti».
E se come paradigma della storicità di Bologna-Varese azzardi la finale di Coppa Italia del 1999 o i playoff dello stesso anno, la penna della “Rosea” corre a venti stagioni prima: «Il primo scudetto della Sinudyne nel 1976, vinto proprio contro Varese che aveva appena trionfato in Coppa Campioni a Ginevra – conclude Tosi -. Veniva spezzato il predominio del triangolo lombardo e sul parquet c’erano cavalli di razza come Morse, Meneghin, Caglieris, Driscoll, Bonamico (e Dan Peterson in panchina). Basket city, secondo me, iniziò in quel momento».