Restano 33 partite per non chiudere la storia del Varese con la parola fine, e non solo in serie B. Per non macchiarsi dell’onta, chi più e chi meno, di non aver difeso il grande calcio a Varese, riconquistato dopo 25 anni di fango.
Noi siamo pronti a tutto, e voi? Non eviteremo di fare molto male a qualcuno (o magari a tutti) provocando la sua reazione. Non nasconderemo nulla, non saremo diplomatici: verità chiama verità, è questa l’eredità del padre fondatore biancorosso, ora – e ancora per un po’ – lontano.
Quindi iniziamo col dire che certe immagini colte a Bologna, ben più eloquenti del risultato finale, sono da retrocessione.
È da retrocessione che un giocatore del Varese chieda (in buonissima fede, ci mancherebbe) a un collega famoso del Bologna di scambiarsi la maglia a fine primo tempo, quando il Varese aveva persino giocato meglio e stava perdendo solo 1-0 perché davanti alla porta mancava un attaccante e perché Neto, pur dando tutto, non ce la faceva più e aveva bisogno di riposo. Chiedere la maglia è un gesto nobile ma se lo compi a 45 minuti della fine è un’ammissione di reverenza e una dichiarazione di “pace”, quando invece il Varese aveva un’unica strada per non perdere: fare la guerra. Piuttosto buttandola in rissa, come hanno insegnato i “maestri” del Cittadella al Franco Ossola. I bolognesi, un po’ scossi e “inebetiti” dai fumi della festa americana, potevano essere fermati. Invece abbiamo avuto lo spirito di uno studente davanti al professore: scolastico. Provochiamo il Betti: non sarebbe servita più “ignoranza” – nel senso di incoscienza o arroganza (Petkovic, perché no?) – in un ambiente così gonfio di sé da piacersi troppo – forse più esperienza (Blasi?) nel rapportarsi con una partita sulla carta già persa, e più sangue negli occhi che azioni da gol? Perché è col sangue che arrivi una volta davanti alla porta (il Varese l’ha fatto almeno in tre casi) e la butti dentro, non giocando semplicemente il tuo bel calcio.
Altre scene perdenti: Bastianoni mandato a quel paese da un compagno sull’uscita a farfalle del terzo gol (invece avrebbe meritato una carezza), Bettinelli in piedi da solo nella sua area tecnica per 95 minuti: e invece merita di avere in panchina un vice o un dirigente con cui magari litigare ma confrontarsi, perché la società, che detiene il patrimonio dei giocatori, deve far sentire – e saper dire, saggiamente e con sensibilità – anche la sua voce. Senza Sogliano seduto alle sue spalle, Sannino non sarebbe mai arrivato in serie A. Senza Maraner al suo fianco, Maran non avrebbe mai azzeccato tutti i cambi e le scelte, a parte l’ultima di Granoche titolare in finale per De Luca. Un uomo, da solo, non può essere il Varese perché verrebbe inevitabilmente schiacciato dal suo peso. Un uomo ha bisogno di poche ma forti spalle su cui appoggiarsi nei momenti difficili: le nostre, le vostre, quelle del club.
E ancora: Lupoli ha fallito due clamorosi contropiede perché invece di passare la palla ai compagni liberi davanti al portiere, ha tentato di fare il veneziano. Non aveva più fiato né ossigeno al cervello, e veniva da una settimana piena di difficoltà fisiche (è stato anche in dubbio), quindi quei compagni smarcati nemmeno li avrà visti: qualcuno, dalla panchina, lo ha fatto notare a Bettinelli? Stessa discorso vale per Neto Pereira: eroico nel resistere fino al 95’, ma se dopo 3 minuti di gioco non riesce a mettere forza nelle gambe per segnare un gol quasi a porta vuota, come poteva averne per altri 92? Lo staff alle spalle del mister, prima-durante-dopo la gara, vedeva e riferiva tutto ciò?
Alla fine della partita in campo varesino abbiamo visto pacche sulle spalle, altri scambi di maglia, sorrisi, complimenti e un’accettazione dell’inferiorità che non fa parte dell’essenza stessa biancorossa: certo, forse non siamo mai stati così deboli e in emergenza, ma accettando e certificando così spudoratamente questa fragilità, non avremmo mai battuta l’Alessandria, il Benevento, la Cremonese, il Torino, il Verona. Insomma: non saremmo mai arrivati a sfiorare la A dall’ultimo posto della C2, perché più deboli lo siamo sempre stati, ma non lo andavamo a sbandierare a ogni piè sospinto, in tutti i pre e post partita!
Lo spirito del Varese al Dall’Ara è stato rappresentato unicamente dai duecento tifosi in curva che alla fine hanno detto alla squadra di allontanarsi e andare subito nello spogliatoio: finalmente un po’ di sano orgoglio e incazzatura che feriscono per provocare una reazione, e magari la vittoria contro il Bari: se giochi nel Varese e perdi 3-0 a Bologna, contro il Parabiago o il Real Madrid, non festeggi e non abbassi la testa, ma t’incazzi come una iena. E non dici “bravo” ai giocatori: anzi…
Nel mare di “volemose bene” finale, quale dirigente ha spalancato la porta degli spogliatoi per parlare alla squadra e all’allenatore? Chi naviga nel calcio da un’intera vita e ha l’autorità- autorevolezza, l’esperienza, la “visione” giusta per dire le parole migliori all’ambiente biancorosso, toccando i nervi, i cuori e l’orgoglio? Non ce ne voglia nessun’altro, ma questa persona esiste e si chiama Beppe Cannella: piaccia o no, è il responsabile dell’area tecnica e va fatto lavorare
per quello che sa e che vale. Siamo sul fondo e rischiamo di andare ancora più giù: aggrappiamoci alle armi che abbiamo in casa senza fare gli schizzinosi, i “professori” e gli arroganti. Abbiamo da imparare da tutti, soprattutto se si parla di calcio con un dirigente che salvò il Modena in situazioni di difficoltà societarie simili se non peggiori, portando Ardemagni o Babacar come ora Capezzi. Noi varesini non siamo nati imparati, o forse sì?
Capitolo società: i punti di penalizzazione sono 4 (per ora), e nessuno al Varese è così fesso, cinico o egoista da pensare che senza l’entrata di soci forti o attraverso una cessione del club si possa evitare il fallimento economico e sportivo. Quindi è palese che soci (o padroni) siano i benvenuti: vero?
La squadra è sbilanciata, certi giocatori in difesa sono stati “venduti” alla piazza per ciò che non sono: su terzini e centrali, anche con i pochi soldi a disposizione, si doveva e si poteva fare meglio (anche Capezzi è arrivato senza spendere un euro…). Ma questo c’è e con questo ci si salva. E quindi a Stefano Bettinelli diciamo, con il cuore in mano come facevamo con Mangia, Sannino o Maran facendo scorrere il sangue più veloce nelle vene: non devi dare l’idea che un Petkovic, un Tamas o un Blasi (inserirlo per due minuti col Cittadella e tre col Bologna suona, anche se magari non lo è, come una piccola umiliazione) siano un “di più” di cui si può fare in qualche modo a meno. Sbagliato: al Varese nessuno è intoccabile, tutti sono indispensabili. Non esistono dogmi o preconcetti se non uno: la salvezza, costi quel che costi. Noi siamo pronti a tutto: e tu, Betti? E voi, dirigenti?
Ps: ai tifosi non c’è nulla da dire, stanno già facendo il massimo e sanno benissimo che in questa serie B puoi anche beccare sei gol, come il Trapani a Livorno, e poi vincere subito (sempre) nel tuo fortino piazzandoti addirittura al terzo posto.