«Silvio Papini non è profeta in patria: perché?». La dignità gli ridarà tutto. Basta aspettare…

Sono consapevole di una cosa: nessuno che vive nel suo territorio è un profeta, spesso non viene ascoltato e preso in considerazione, ed una volta che ha svolto il suo dovere, di ogni genere, sia esso lavorativo, amministrativo, culturale o sportivo, viene messo da parte, prima posizionato come un oggetto sulle scale che portano nello scantinato e poi con il tempo abbandonato definitivamente in cantina.
Veniamo dopo questo giro di parole alla questione in essere.

Soggetto: Silvio Papini. Uomo che ha preso nel decennio scorso materialmente le chiavi dello stadio Franco Ossola, ed insieme ad altre persone (in parte abbandonate pure queste) ha iniziato un lungo percorso che ha portato i biancorossi ad un passo dalla promozione in serie A. Allora Papo era l’uomo del fare, era il perno centrale. Tutti a Varese gli hanno chiesto favori, chi i biglietti per entrare allo stadio, chi le magliette…
Poi l’incantesimo terminò e tutto finì in malo modo, lasciando all’uomo del lago un grande dolore. Silvio Papini per amore del Varese rinunciò ad un super contratto come direttore sportivo nel Lugano. Ad oggi, dopo un anno, nessuno mi ha mai spiegato perché fu escluso dalla nuova società. Qualcuno ebbe anche il coraggio di inventare scuse assurde; peggio ancora, sino alla sera prima Silvio Papini era l’asse cardanico del nuovo assetto societario (a testimoniare questo c’è ancora un messaggio sul suo telefonino, che essendo innamorato dei biancorossi mai cancellerà). Ma quello che fa specie, per me, è altro: spesso e volentieri andiamo insieme a vedere il Lugano; ebbene ci sono ancora dei tifosi che vogliono fare il selfie con lui. A Cornaredo è accolto come un idolo, nella città giardino è finito nel dimenticatoio. Sicuramente non rientrerà mai più nelle file nella nuova società. Ormai è in atto un sostanziale cambiamento e per il Papo non c’è posto. Però Lui rimane qui, come un innamorato ferito al cuore, una ferita che non guarirà più. Credo magari che una pacca sulla spalla e un riconoscimento sia per lui che per tutti quelli che hanno sputato sangue in quegli anni vadano dati.
Personalmente non mi aspetto molto, ma magari chissà: qualcuno si ricorderà che Silvio Papini è in cantina, e visto che il genere umano è provvisto di coscienza, magari lo riporterà alla luce. Dove lui continua a vivere, pur senza nessuna carica che non sia il saluto di ogni tifoso che lo incontre: «Ciao, grande Papo».