Sogliano al Milan e poi torna? Questo non è più il suo Varese

Noi lo sapevamo già. Perché gliel’avevamo letto negli occhi quel giorno là allo stadio, quando andare il lunedì pomeriggio al Franco Ossola era più bello che andarci per le partite. Quando la serie B era un gigante che non osavi nemmeno sognare e al Varese c’era gente a cui si dava del tu senza volerlo.

Noi lo sapevamo già, che Luca Sogliano sarebbe arrivato in alto due volte: una volta con il Varese, un’altra volta con una grandissima squadra. Per questo non ci siamo stupiti quando ci si è ritrovati ad abbracciarsi due volte in due anni: prima per gridare “siamo in C1” e poi per urlare “serie B serie B”. Per questo non ci stupiamo oggi, quando tutti i giornali dicono con certezza che Sogliano sarà il prossimo direttore sportivo del Milan. Sì: il Milan dove è stato immenso papà Ricky, il Milan che vuole tornare grande affidandosi alle intuizioni di chi ha sempre saputo creare qualcosa di bello dove prima non c’era nulla.

Niente di ufficiale, per carità: ma se due galli nel pollaio come Adriano Galliani e Barbara Berlusconi litigano su tutto e sono d’accordo solo sul nome di Sogliano, qualcosa vorrà dire. Luca ora sta facendo grandi cose a Verona: una promozione dalla B che non era affatto scontata, un campionato fin qui splendido, una serie di “soglianate” che hanno sorpreso soltanto chi non conosceva Luca e le sue capacità. Staremo a vedere, facendo il tifo per lui (non per il Milan, ovvio: noi tifiamo Varese e basta).

Però, mentre aspettiamo di saperne un po’ di più, a noi vengono in mente un po’ di immagini. E la prima immagine che ci viene, chissà come mai, è l’ultima: Sogliano in lacrime il giorno dell’addio.

Con la gente che non capiva cosa diavolo avesse da piangere quello lì, che lasciava la piccola Varese per andare nella grande Palermo, dalla serie B alla serie A passando dalla porta principale. Che cosa piangi, Sogliano?

Piangeva perché lui, illuso, aveva un sogno diverso: lui, illuso, sognava di andarci con il Varese in serie A. E lui, illuso, ci credeva più di chiunque altro.

Piangeva perché si immaginava i palcoscenici degli stadi più belli, le sfide con l’Inter e la Juve, i giornalisti importanti e le pagine sulla Gazzetta. E mentre li immaginava capiva che gli sarebbero mancati gli spogliatoi luridi e fatiscenti del Franco Ossola, le amichevoli col Gavirate, le chiacchierate col Confa e le sue interviste alla Provincia di Varese.

Ci viene in mente l’immagine di Luca che dopo un gol segnato da chissà chi contro chissà quale squadra si gira a cercare dietro la panchina l’Alfredo per andare ad abbracciarlo, forse perché sapeva che era lì che bisognava andare per stringere il cuore più biancorosso di tutti.

Ci dicono di augurargli ogni bene. Di rifondare il Milan, vincere un paio di scudetti e magari sognare una finale di Champions League, dal Franco Ossola al Bernabeu. E poi di tornare al Varese, perché questa è la sua casa.

Noi però , questo, non glielo auguriamo: troverebbe che qui le cose sono cambiate. Troppo cambiate. Irrimediabilmente cambiate.

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