Peccato. Peccato perché non se l’aspettava nessuno un ritorno così problematico nella sua Varese. Forse nemmeno lui. Caldeggiato da parte di tifosi e ambiente, ma scelto – va scritto, per onestà – quando le altre strade percorse si sono rivelate sbarrate, ha provato a fare quello che quasi sempre gli era riuscito: pescare stranieri interessanti. Stavolta è andata male, in alcuni casi molto. E non si saprà mai ufficialmente con quale percentuale di colpa da parte sua. Noi andremmo per il 33%, in attesa di smentite tipo «Questo non l’ho scelto io…».
Stagione grama dal punto di vista dei risultati, stagione infausta nelle finanze. Il buco di bilancio, che se non ci fosse stato il grido di allarme di qualcuno avrebbe probabilmente assunto dimensioni più ingenti e forse non sarebbe stato reso pubblico nemmeno a novembre con la chiamata in causa dei consorziati, ha ricordato a tutti un particolare importante: qui non c’è nessun Papà Pantalone. Se va male…
L’unica vera gioia del 2015 è stata “scoprire” Artiglio. Perché nel giorno dell’addio di Pozzecco erano pochi quelli contenti di una scelta che sapeva di ultima spiaggia e non emozionava di certo. E invece lui ha rivoltato la squadra come un calzino, ha ridato senso agli allenamenti (per esempio insegnando a un Jefferson
più movimenti offensivi in un mese che in tutto il resto della sua carriera), ha salvato la baracca e sfiorato i playoff. E si è rivelato una persona calma, disponibile e amabile: l’uomo giusto. Si può discutere all’infinito sul merito di un’eventuale sua riconferma. Di certo non meritava un mese e mezzo di bugie.
Il leit motiv dell’anno. Quelle date hanno distrutto un’era (Vescovi) e un sogno (Pozzecco). Quelle annunciate ma non date (Coppa) sono state una gaffe diventata malinteso con l’artifizio delle parole e la ricostruzione postuma del titolo di un articolo di giornale. Ah, maledetti giornalisti…
Il ritorno nello storico terreno di caccia non ha entusiasmato nessuno. Sarebbe stato diverso se fosse stata costruita una squadra convincente. Sarebbe stato diverso se non ci fosse ormai una dilagante diffidenza nelle scelte di questa società. Eppure, se dobbiamo salvare un match di quest’anno, prendiamo la trasferta di Ostenda: voglia, gruppo, palle. La speranza (pensando ai soldini ricavabili) è quella di proseguire nel cammino, pur dando un’importanza primaria alla salvezza.
Tante, troppe. Capo d’Orlando, Pesaro e Venezia (entrambe in casa) sotto l’egida di Pozzecco; Caserta, Sodertalje, Trento, ancora Venezia e Reggio Emilia con Moretti. Il brutto? Non avere nemmeno un pizzico di speranza di farcela quando affronti certe squadre, fin dalla palla a due. Ci hanno tolto i sogni, quelli che hanno fatto crescere la generazione dei tifosi nati negli anni ’80: la nostra Varese non è (quasi) mai stata la prima della classe, ma alle prime della classe sapeva come mettere i bastoni tra le ruote. Sempre.
Una tragedia con poche eccezioni. Tanti professionisti del soldo, pochi uomini veri. A consuntivo dello sfacelo ci teniamo solo il Diawara che per Varese gioca con un occhio solo, le serpentine di Maynor, la classe di Ukic, l’impegno di Cavaliero e Campani e la gioventù di Molinaro. Stop.
Il Palawhirlpool, quella casa diventata terra di conquista per un intero anno. E poi ci si chiede perché la gente si stia disinnamorando…
Sempre sia lodato (per davvero), non ultimo per aver messo a posto il buco di cui sopra. Ma da proprietà, quale in sostanza il Consorzio è, si prende la responsabilità di aver legittimato la gestione attuale. Ha sbagliato di grosso, pur convinta di far bene. Capita: si aspettano rimedi nell’anno che verrà. Sulla questione Ponti la verità sta nel mezzo: lui si è presentato con troppa “veemenza”, Varese nel Cuore non lo ha di certo accolto a braccia aperte e soprattutto non ha voluto fare quello che è stato ritenuto essere un salto nel buio.
Quello che è nato a Montecchio e di cognome fa Campani. Lottatore, una delle pochissime mosse azzeccate sul mercato.
Su di lui, al momento, il giudizio è sospeso. Doveva essere un maestro capace di svezzare, un direttore in grado di migliorare la propria orchestra con la sola sapienza della sua bacchetta: è stato costretto a fare l’usciere. La fiducia nelle sue qualità rimane intatta, le giustificazioni disponibili per gli scarsi risultati sarebbero milioni, la sua credibilità (nel presente e nel futuro) non si insegna. Ma vogliamo vedere dove riuscirà ad arrivare alla fine. Di certo le sta provando tutte. Rimane il sogno di ammirarlo all’opera con un parco tecnico meno desolante.
Quello di piazza Monte Grappa civico 4, Stefano Coppa. Con tutto il rispetto per il suo lavoro e per l’impegno sicuramente profuso, il 2015 lo boccia senza appello. Ha fatto scelte in modo perentorio: le ha sbagliate quasi tutte. Ha promesso mari e monti: non si è avverato nulla.
Vita grama essere sponsor di questa Varese. Pochi giorni fa l’amministratore delegato Rosario Rasizza è andato giù con l’accetta: si è mossa foglia? Sono state ascoltate le sue parole? Attenzione a non farlo stufare…
Bocciato, promosso, Poz. È suo il primato per il giorno più triste dell’anno, quello in cui finiva la forma di un sogno già da tempo in crisi nella sostanza. Splendida scommessa che lascia tanti rimpianti, ma non quello di non averla giocata.
E anche il 2015 se ne andrà senza una risposta (pubblica) alle domande che permetterebbero davvero di dare un giudizio al lavoro fatto. Una su tutte: quanto è costata questa squadra? Il silenzio spinge a rispondersi da soli: buco o non buco, questa (pessima) squadra è costata tutt’altro che poco.
Dopo un girone d’andata di siffatta consistenza, il ritorno non può che essere la speranza della redenzione. Quella, non muore mai.
Chi lavora nell’ombra, chi ci mette l’anima, chi ha sposato un amore chiamato Pallacanestro Varese e sta spendendo una vita per lei. Buon anno a tutti loro.
Fuori da ogni retorica: gli A4 sventolati per Ukic sono una delle poche, autentiche emozioni che rimarranno di questo 2015. Sono stati anche un grido di dolore: quello di un popolo alla disperata ricerca di qualcuno in cui credere, di qualcosa che possa far ravvivare il suo eterno amore.
Incontestabile nella classe, interlocutorio nel passo d’addio. Ma di eroi dei sentimenti il basket è privo da decenni: puoi fargli una colpa per essersi comportato come avrebbero fatto decine di altri giocatori?
Nemmeno lui è stato esente da errori nel passato, anzi… E le sue dimissioni, a febbraio, sono state l’inizio della fine. Se non manca il Cecco, però, di certo manca qualcuno come lui. Qualcuno, nella stanza dei bottoni, che sappia cosa sia la pallacanestro.
La dimensione di classifica dell’intero 2015 (sprazzi di Caja a parte). Sì, è questo che siamo diventati.