– Il 35enne rapper e produttore discografico, all’anagrafe Fabio Rizzo, ha fatto tappa in città per promuovere il suo quarto album “Status”, uscito il 20 gennaio.
«Aspettavamo di conoscere Marracash da tre anni e mezzo – spiega Marianna Casoli – Nessuno è come lui. È sempre sincero e non ha paura d’essere scomodo». Nel cd ci sono 18 brani, «uno più bello dell’altro. Marra è diventato grande, ma non ha perso lo smalto», spiega Biagio Lindi.
/>Ed è lo stesso Marracash che lo conferma, come in tante interviste: oggi i giovani non fanno avanguardia e quindi tocca a lui. E lo fa con questo album che lo vede ritratto in copertina con una maschera dorata. «Status – racconta Marracash – è anche sinonimo di reputazione. Quella che ci si costruisce negli anni. Per sottolinearlo volevo una copertina magniloquente, quasi barocca e quindi ho ideato questa maschera che ha realizzato un gioielliere che si chiama Emanuele Bicocchi. Mi piaceva l’idea di questo oro che ti cinge la faccia e che quasi ti soffoca». Un parallelismo con «la reputazione che a volte finisce per inglobarti».
Il disco, che vanta interessanti collaborazioni tra cui Tiziano Ferro, Neffa e Fabri Fibra, è stato realizzato tra Los Angeles, Londra e Milano e la Barona è sempre presente. «Basta ascoltare il disco – continua il rapper – la Barona è presentissima, sin dalla prima traccia. Non perché sia il mio quartiere, ma perché mi piace il senso di appartenenza e perché mi faccio portavoce di una certa categoria di persone». Con questo lavoro poi, vuole sottolineare la “purezza” dell’hip hop libero dalla deriva pop di questi ultimi tempi. Una maniera di rivendicare la ribellione in rime.
«Lo seguo da “Badabum Cha Cha” – ricorda Marco Bollini – e non mi ha mai deluso. Questo cd è forse il più bello, il più completo. Ha ancora tantissimo da dire, non è mai sceso a compromessi e dopo dieci anni riesce ancora a provocare con le sue rime». Di lui piace tutto: «La musica, i testi, le rime, ma soprattutto lui», confermano Giulia Gullo e Olensia Cama. Secondo Angela Marrotti invece «con “Sindrome depressiva da social network” racconta quanto siamo schiavi dei social. Ci facciamo i fatti altrui, ma facciamo fatica a parlare col vicino».