Spari al nipote per un’ereditàConfermati gli arresti domiciliari

Saltrio Niente libertà. Il 50enne accusato di aver tentato di ammazzare a tradimento il nipote 31enne dovrà restare confinato agli arresti domiciliari. Lo ha stabilito la prima sezione penale della Corte di Cassazione, che ha respinto la richiesta di annullamento della misura cautelare avanzata dalla difesa.
L’uomo, che è accusato di tentato omicidio aggravato, l’altroieri si è visto notificare dai carabinieri di Luino un’altra ordinanza di custodia cautelare: a firmarla, dopo la pronuncia della Cassazione, il tribunale ordinario di Milano, in questo caso con funzione di giudice del Riesame.

All’alba del 9 maggio 2008 i carabinieri di Luino avevano arrestato un 49enne residente a Saltrio. L’uomo avrebbe tentato di ammazzare a tradimento un nipote. Il movente sarebbe quello tipico quando due famiglie parenti vanno ai ferri corti: un’eredità contesa.
Il tentato omicidio risale al 17 settembre 2007. All’epoca un 30enne di Casalzuigno si salvò per miracolo da quattro colpi di pistola sparatigli contro nel buio. Il giovane stava tornando a casa dopo una festa quando era scattato l’agguato

contro di lui. Forse per la scarsa mira del killer, o forse per un provvidenziale riflesso della vittima designata, il ragazzo era riuscito a rifugiarsi in casa un attimo prima che potesse essere raggiunto dalla pallottole: così i proiettili non avevano crivellato carne e ossa, ma si erano conficcati nella porta e sui muri dell’abitazione. Appena nel suo alloggio, il 30enne aveva chiamato i carabinieri che, con il loro arrivo, avevano scongiurati ulteriori assalti (sempre che lo sparatore non si fosse già dato alla fuga subito dopo il fallito attentato).

Poche le tracce a disposizione: solo le ogive delle pallottole conficcate nei muri e nella porta; troppo poco per scatenare i Ris e i loro emuli. Ai militari non è così restato altro che condurre le loro indagini con i vecchi, ma sempre di moda, metodi investigativi.
Appurato che il giovane di Casalzuigno non aveva mai ricevuto minacce di alcun tipo, gli uomini dell’Arma avevano battuto a tappeto la zona: interrogando conoscenti, amici e parenti della vittima; verificando ogni singolo alibi; scavando nel passato di ciascuna persona; vagliando attentamente confidenze e pettegolezzi.
Alla fine i diversi fili si sono intrecciati insieme diventando uno solo; e questo filo ha portato allo zio. Nessun dubbio, secondo i carabinieri, sul fatto che volesse uccidere: le traiettorie ad altezza d’uomo escludono che si fosse trattato di un semplice avvertimento.
Il movente, come accennato, sarebbe connesso a un’eredità e ai dissapori familiari che il lascito aveva portato con sé: dissapori che avevano opposto soprattutto il 49enne (incensurato) alla madre del ragazzo.
L’arma usata per tentare l’omicidio non è stata ancora trovata.
Enrico Romanò

f.artina

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