Badanti in nero «Punta dell’iceberg»

Due cooperative, 329 badanti a cui non sono stati pagati i contributi, 5 milioni nascosti al fisco. Li ha scoperti, dopo mesi di indagini, la Guardia di Finanza di Gallarate. «Eppure è solo la punta dell’Iceberg».

A parlare è , presidente cittadino delle Acli. L’associazione cattolica dei lavoratori gestisce, su autorizzazione del ministero del Welfare, un servizio di intermediazione. In altre parole, fa incontrare la domanda con l’offerta. Ed organizza corsi di formazione per le badanti.

«Purtroppo fenomeni come quello scoperto dalla GdF sono diffusi da anni e non solo per colpa delle cooperative. Anche le famiglie giocano un ruolo importante», afferma il responsabile dell’associazione che ha sede in via Agnelli.

Per capire perché basta fare due conti. «Lo stipendio medio di una badante assunta in regola e presente 24 ore su 24 oscilla tra i 1.100 ed i 1.200 euro al mese», spiega Naggi, «aggiungendo i contributi, il costo supera i 2mila euro». Si capisce, dunque, perché «dal punto di vista economico la tentazione di averla in nero è molto forte».

Un circuito che si alimenta grazie al passaparola: «magari c’è la famiglia che ha bisogno di una persona, sa che dei conoscenti ne hanno presa una. Oppure sono le stesse badanti: magari devono rientrare in patria e allora segnalano alle colleghe che si libera un posto». Assumere in nero una persona che si occupi di un anziano costituisce però un reato. Che raddoppia se si tratta di una straniera non regolare. «Si incorre nel favoreggiamento all’immigrazione clandestina». Difficile, però, essere scoperti: «siccome si lavora in casa, è complicato effettuare dei controlli. Anzi, diciamo che sono del tutto assenti».

È impossibile dire quante siano le badanti attive in città. «Certamente si tratta di un fenomeno più diffuso che in altre zone, non foss’altro perché la presenza di stranieri qui è doppia rispetto alla media regionale». Oltretutto, «a Gallarate operano persone che risiedono altrove, diciamo che si copre un bacino che va dalla provincia di Novara fino all’alto milanese».

C’è però un dato ulteriore che emerge: se le donne, alle quali le due cooperative “pizzicate” dalla Gdf non versavano i contributi, erano tutte di nazionalità rumena, la professione di badante è sempre più diffusa tra le cittadine italiane.

«Assistiamo a questo fenomeno: molte signore che perdono il posto di lavoro e rimangono a casa e magari cominciano ad accudire un anziano bisognoso presente in famiglia». L’incremento lo si vede leggendo i nomi delle iscritte ai corsi di formazione, sempre più spesso “nostrani”.

Rispetto alle colleghe straniere «più difficilmente le donne italiane accettano di lavorare in nero. La immigrate, pur di portare a casa uno stipendio, invece sì». Anche se, conclude Naggi, l’unico risultato di questa forte concorrenza «è una guerra tra poveri».

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