«Ignis non è nostalgia ma radici e futuro»

Flavio Vanetti sulla nuova società giovanile: «Riporterà il basket a ciò che è, amicizia e gruppo. Ero con Morse e un ragazzo chiese: “Ma chi è quello lì?”. Ecco perché va sostenuta la tradizione»

«Ero davanti a un bar insieme a Bob Morse e sentii un ragazzo domandare a un suo amico: ma chi è quello lì? Si riferiva allo stesso Morse, non ci potevo credere…». Il giornalista varesino Flavio Vanetti, penna veterana delle pagine sportive del Corriere della Sera, racconta così la scintilla che – circa due anni e mezzo fa – lo spinse a ideare, insieme al Comune di Varese e alla stessa Pallacanestro Varese, il Percorso Ignis: dalla palestra di via XXV aprile alla fontana di piazza Monte Grappa, dall’Arco Mera al Lino Oldrini di Masnago (oggi Palawhirlpool) una sorta di museo a cielo aperto con gemme di memoria cestistica varesina.

Perché riparlarne oggi? La risposta è sempre in quel termine evocativo di tanti significati sotto al Sacro Monte: Ignis. L’attualità ha infatti appena consegnato la nascita del Basket Ignis Varese, società che opererà nella pallacanestro giovanile guidata da chi, di quel nome, ha fatto le fortune: Aldo Ossola, Dodo Rusconi, Fabio Colombo e Fabio Tedeschi, con l’appoggio al progetto dell’imprenditore Gianfranco Ponti. Ignis non è solo sinonimo di vittorie, di leggenda applicata alla palla a spicchi,

di vanto di una provincia intera: nell’intento di chi oggi lo cavalca per costruire i giocatori di domani c’è anche il marchio di una pallacanestro gioiosa, divertente, intrisa di valori etici che facevano crescere gli uomini prima degli atleti. L’obbiettivo di riproporre gli stessi concetti nel terzo millennio non può che essere quindi salutato con gioia da Vanetti: «Non si tratta di ricordare con nostalgia il passato, o di accendere qualcosa che si è spento: a Varese non possiamo prescindere dal rimanere legati alle nostre radici. Esse riportano sì a grandi successi, ma soprattutto a un basket inteso come divertimento, amicizia, gruppo che sta bene insieme: erano quelle le basi su cui si instillavano lo spirito di sacrificio, il rispetto delle gerarchie, la capacità di soffrire e gioire insieme».

Per questo l’idea di crescere i giocatori di domani con lo stesso metodo che ha allevato i campioni di ieri appare positiva già in partenza: «Si propone un modello educativo e sociale, prima che sportivo – continua Vanetti – Trovo che sia una cosa bellissima, perché va ad arricchire e non a togliere». È pero inevitabile porre una domanda scomoda: Varese ha spazio per un nuovo serbatoio giovanile? Come si potrà inserire la neonata realtà con quelle già operanti sul territorio, in primis la Pallacanestro Varese? La risposta del giornalista varesino parrebbe da sottolineare più volte: «Il rischio che il Basket Ignis Varese diventi qualcosa di stridente con la Pallacanestro Varese, esiste. Io penso che le due entità debbano, col tempo, imparare a marciare in modo parallelo, creando delle sinergie. Questa sorta di “spin off” della nuova società può funzionare all’inizio, ma alla lunga spero che venga instaurato un dialogo o si faccia un tavolo per razionalizzare le risorse, al fine di non pestarsi i piedi». Una logica che presenterebbe applicazioni pratiche altrettanto logiche: «Se l’Ignis dovesse davvero crescere un campione, quale approdo migliore per lui della Pallacanestro Varese? Una società potrebbe allevare i giocatori fino a una certa età, l’altra prenderli in consegna per farli sviluppare ulteriormente: sarebbe la soluzione ideale. Non commetterei lo stesso errore di Siai Marchetti e Aermacchi nell’aereonautica, due aziende che si facevano concorrenza nel raggio di nemmeno 20 chilometri, proponendo agli investitori americani gli stessi prodotti».

In attesa di capire come il futuro risponderà agli interrogativi, l’avvento del Basket Ignis Varese rimette al centro della scena persone e professionisti rimasti ai margini negli ultimi anni, nonostante siano stati protagonisti della storia del basket varesino, vicino e lontano. Uno su tutti è quel Dodo Rusconi che i tifosi degli anni ‘90 ricordano come allenatore dotato di una razionalità tecnica fuori dall’ordinario: «Rusconi è un uomo dal carattere particolare, forse percepito come brusco, ma certamente molto sincero e vero. Non so se sia stato questo il motivo per cui è stato messo ai margini, oppure sia lui stesso a essersi tenuto in disparte: l’unica certezza è che Dodo – insieme a Ossola – è un libro aperto del basket. La pallacanestro deve tornare ad essere un gioco di fondamentali e loro due possono essere dei professori in questo senso».