Natura, colori buona cucina. E una storia

Il Rifugio Dumenza, angolo di paradiso a un’ora di macchina (e una di cammino) da Varese

È un tuffo in una natura bellissima che si mostra al meglio durante ogni stagione il percorso che da Dumenza porta all’omonimo rifugio gestito da Matteo Guglielmini la cui storia personale, da sola, vale l’escursione. In autunno il percorso è eccezionale per andare alla ricerca di funghi e castagne.

Ma andiamo per ordine. Iniziamo dalla passeggiata. L’accesso più semplice è quello dell’Alpone di Dumenza (a circa un’ora un’oretta d’auto da Varese), lungo la strada asfaltata per Pradecolo, dove i segnavia biancorossi indicano la direzione. Un ampio sentiero in saliscendi nella faggeta porta alla radura nel bosco ove è situato il rifugio.

La passeggiata è alla portata di tutti, bimbi compresi. Il rifugio è a 941 metri d’altezza: il dislivello dal punto d’attacco è di circa 500 metri. Il percorso, che non spezza il fiato, si compie in un’ora circa. Un’ora effettiva, un tempo che però non tiene conto della bellezza che si attraversa e che potrebbe raddoppiare per chi è appassionato di fotografia. O semplicemente di natura e plein air.

Il sentiero è ampio e mostra tutti i colori del bosco, a tratti offre squarci spettacolari con vista sul lago letteralmente dominato dall’alto in quasi tutta la sua ampiezza. D’inverno, con la neve, la passeggiata è comunque accessibile e il paesaggio diventa davvero incantato. Il rifugio è un piccolo gioiello in Valle Smeraldo; la struttura, curatissima, si erge al limitare di un’ampia piana a prato: un punto panoramico eccezionale.

La piana è circondata da castagni secolari: i cui frutti, in questa stagione, sono lì a disposizione. Il rifugio dispone di otto posti letto: ci si può dormire, prenotando ovviamente, e il mattino dopo partire per un’escursione più impegnativa. Un esempio? Quella che porta al Monte Lema (il sentiero è segnato in modo eccellente con indicazioni chiare su distanze e tempi di percorrenza a piedi).

Al rifugio troverete ad accogliervi Matteo Guglielmini. Al quale, tra un piatto di polenta (con cacciagione, formaggio e tutto ciò che desiderate), una fetta di ottimo salame prodotto dalle aziende agricole locali, un bicchiere di rosso o un corroborante caffè caldo in questa stagione, dovete assolutamente chiedere di raccontare la propria storia. Ve ne andrete arricchiti due volte: dalla natura e dalla consapevolezza che non ci si deve arrendere mai. Matteo vendeva elettrodomestici in un grande magazzino del varesotto.

A 61 anni perde il lavoro: la crisi morde e lui si ritrova “esodato” in un’età in cui ricollocarsi è quasi impossibile e la pensione è ancora un miraggio. Matteo gestisce il rifugio da tre anni, dal 13 ottobre 2013, per la precisione. «Si trattava della vecchia Cà del Pepp – spiega Matteo – un alpeggio, dove dai primi dell’Ottocento viveva una famiglia di agricoltori. Allevavano capre e mucche e producevano farine con le castagne che raccoglievano nella selva dell’Alpe. Negli anni ’30 la abbandonarono. Così divenne un punto di appoggio per i contrabbandieri che facevano la spola con il vicino confine svizzero. Nel 2010 l’alpeggio fu ristrutturato dall’amministrazione comunale di Dumenza grazie ai contributi del Gruppo di Azione Locale del Luinese. La struttura a distanza di qualche anno, però, era ancora vuota».

Matteo ha visto quel gioiello durante la passeggiata all’Alpe Bois. E lui che da ragazzo aveva gestito per due stagioni il Rifugio degli Alpinisti Monzesi sul Resegone si è messo in gioco. Oggi il rifugio è una realtà molto frequentata: da gennaio a luglio ci sono passate 3mila persone. Molti stranieri tra tedeschi, svizzeri e olandesi. In tre anni sono stati tantissimi gli amici che hanno voluto sostenere Matteo e il rifugio Dumenza che deve continuare a vivere. La struttura è curatissima, Matteo all’esterno ha appeso poesie e vecchi adagi. C’è un solo nemico da combattere: la mancanza d’acqua che può colpire la struttura durante il periodo estivo. Niente acqua, ma anche niente corrente perché l’acqua alimenta la turbina idroelettrica che alimenta il rifugio. «Sono anni che attendo che vengano realizzati lavori per la creazione di un bacino idrico di captazione capace di assicurare continuità al lavoro di questa struttura anche per il futuro. Cosa vogliamo fare di questo luogo, costato come ristrutturazione 300 mila euro di soldi pubblici? ». Riassumendo: itinerario splendido, in mezzo alla natura. Una storia che può ispirare chiunque a non mollare mai. Un’accoglienza unica. E degli scenari che da soli valgono tutta la fatica (poca) della camminata.