Che cosa significa questa Europa per il futuro di varesini e varesotti?

L’editoriale di Gigi Farioli

Domenica sera, sugli Champs Elysees, al suono dell’Inno alla Gioia, il “nuovo” Emanuele passeggiava come sotto un arco di trionfo, nel nome dell’Europa. L’altroieri, 9 maggio, in molte realtà cittadine e regionali italiane, compresa la nostra Regione Lombardia governata dal lombardo e padano Roberto Maroni, non sono mancate celebrazioni ufficiali. A Palazzo Pirelli, a contrassegnare la cerimonia, insieme ad arie di musica lirica e classica, è stata esposta un’opera donata da un grande maestro varesino, Vittore Frattini.

Un’opera di un maestro che, guarda caso, da Varese ha potuto realizzare opere anche nel segno del volo, del sogno, della crescita. L’entrata di Malpensa docet. Se non vogliamo far cadere questa curiosa sequenza, o contestualità di eventi (non va dimenticata la cerimonia officiata da Gentiloni in presenza di Romano Prodi, non cofondatore dell’Europa ma coprotagonista dell’euro), a cui probabilmente molti hanno partecipato con differente auspicio, animo o prospettiva, è indispensabile che qui ed ora ci si interroghi su che cosa può ancora significare l’Europa per le cittadine e i cittadini italiani, lombardi, varesotti. Insomma, i concittadini del maestro Frattini, ma anche i connazionali di quel Gaetano Martino (guarda caso, il papà di Antonio Martino, che non può certo quindi essere considerato un antieuropeista ma che fu tra i più grandi oppositori dell’entrata nell’euro a quelle condizioni e in quei modi) che firmò un Trattato europeo di cui quest’anno ricorre l’anniversario, il Trattato di Roma.

Non vogliamo certamente trasformare la nostra Provincia di Varese, inteso come quotidiano, in una succursale de Il Sole 24 Ore, su cui però un economista affermato, che insegna a Chicago ma è italiano, il professor Luigi Zingales, ha aperto un appello a tutti gli uomini di economia, di politica, di sociologia, per uscire dal dogmatismo ideologico e per poter valutare seriamente qual è l’interesse di noi italiani, di noi lombardi, di noi varesotti e dell’Altomilanese.

Europa non può essere una bandiera da brandire o uno stemma da incendiare. Come ha ricordato Silvio Berlusconi qualche giorni fa, questa non è certo l’Europa che sognavano i suoi fondatori e Padri, che volevano un’Europa di popoli, che garantisse di poter essere un faro di civiltà, cultura, crescita e pace. Questa Europa ha esaurito il suo compito garantendoci oltre settant’anni di pace o può ancora avere una funzione fondamentale per la libertà, lo sviluppo economico, la sicurezza e la legittima ricerca di felicità di noi cittadini italiani, lombardi, varesotti e dell’Altomilanese?

Allora discutiamone, partendo da fatti e analisi concrete. Per farci opinioni e non semplicemente per una spesso perdente, lotta tra curva Nord e curva Sud. La curva Nord, tra l’altro, non ha più da tempo la dovuta attenzione nell’agenda politica nazionale.

La questione settentrionale è ancora, se non più di prima, una questione nazionale. La Regione Lombardia è ancora, e può essere ancora, un motore d’Europa. Allora, discutiamone, partendo dall’economia, da Malpensa, dall’Alitalia, e non nascondendoci dietro un’opera di un grande maestro, ma facendone un simbolo di riflessione e di aspirazione ad una crescita consapevole. Ieri era anche l’anniversario della prima maglia rosa, indossata da Learco Guerra il 10 maggio. Può ancora l’interesse nazionale far vincere gli italiani con questa Europa? E se no, con quale Europa?