Stupro a Busto Arsizio, requisitoria del pm: chiesti sei anni per un 21enne egiziano

In attesa della prossima udienza, quando la difesa avrà modo di replicare, la vicenda solleva interrogativi sulla facilità con cui, attraverso i social, giovani vulnerabili possono entrare in contatto con individui pericolosi (foto d'archivio)

BUSTO ARSIZIO – Lo scorso aprile, una quattordicenne ha riferito di esser stata stata vittima di una violenza sessuale a Busto Arsizio, in un edificio abbandonato vicino alla stazione Nord. La giovane, di origini peruviane, aveva instaurato una conversazione su Instagram con un giovane di 21 anni, un egiziano che, dopo alcuni scambi di messaggi, l’aveva incontrata di persona. Quella che doveva essere una semplice conoscenza si è trasformata in un incubo, culminando in un’aggressione fisica di natura sessuale.

Durante il processo, il pubblico ministero Massimo De Filippo ha presentato la requisitoria, basandosi su solidi elementi investigativi che, secondo l’accusa, dimostrerebbero la colpevolezza dell’imputato. Al termine, il pm ha chiesto per il 21enne una condanna a sei anni di reclusione. La richiesta è stata supportata dalla ricostruzione dei fatti e dalle testimonianze, tra cui quella dei residenti di via Vercelli, che avevano udito le urla disperate della ragazza provenire dall’edificio in cui si era consumato lo stupro.

L’imputato aveva tentato di giustificare l’accaduto, sostenendo che i due avessero avuto precedenti incontri e che fosse stato la ragazza a proporre l’uscita e a portare con sé degli alcolici. Tuttavia, l’indagine avrebbe dimostrato – secondo l’accusa – che, nonostante una certa confidenza tra i due, il 14 aprile la giovane non sarebbe

stata consenziente, e le sue condizioni al momento del ritrovamento erano gravi. La ragazza è stata soccorsa dai vigili urbani, che erano di pattuglia nella zona, e le ferite fisiche le sono state giudicate guaribili in circa cinquanta giorni. Non solo un danno fisico, ma anche un trauma psicologico che lascerà segni profondi.

In attesa della prossima udienza, quando la difesa avrà modo di replicare, la vicenda solleva interrogativi sulla facilità con cui, attraverso i social, giovani vulnerabili possono entrare in contatto con individui pericolosi, senza percepire il rischio che corre. Il caso sottolinea la necessità di vigilanza e di educazione alla sicurezza, soprattutto per i più giovani, nell’ambito delle relazioni digitali.