Tagli al Circolo, medici infuriati «Non chiamateci spendaccioni»

VARESE «Non si può spendere meno di niente. Soprattutto quando in gioco c’è la salute delle persone». Sono un blocco compatto i primari dell’ospedale di Circolo, sia universitari che ospedalieri: altro che “cerotti d’oro”, l’equilibrio tra economia e qualità è un esercizio quotidiano.È tempo di spending review: pochi giorni fa il ministero della Salute ha pubblicato una tabella con prezzi di riferimento a cui gli ospedali dovrebbero attenersi negli acquisti del materiale, dalle protesi ai cerotti, dall’ovatta ai farmaci. A Varese non mancano i casi in cui i prezzi superano sia le indicazioni del ministero, sia la media dei costi sostenuti dagli ospedali italiani. Ma i medici varesini non accettano l’etichetta di spreconi.«Da anni, con il nostro lavoro quotidiano, aiutiamo l’azienda a portare avanti una politica di equilibrio tra qualità e prezzo – racconta Giulio Minoja, primario di rianimazione – Nessuno dei nostri dispositivi è stato preso per capriccio: se per un macchinario sono stati spesi dei soldi, l’unico motivo è la volontà di offrire il meglio possibile ai nostri pazienti». I primari vengono consultati al momento di stendere «la lista della spesa».Francesco Perlasca, ammette che «qualche cosa sulla spesa corrente si potrebbe risparmiare. Ma questo, per noi, vorrebbe dire ad esempio tornare ai materiali pluriuso, sterilizzandoli tra un paziente e un altro». Fare un salto indietro nel tempo di almeno trent’anni: «E anche così, non è detto che il risparmio sia significativo».Ancora più duro il primario di

ginecologia al Del Ponte, Roberto Puricelli: «Si può anche pagare meno per un’attrezzatura, ma se poi non ha le caratteristiche adatte all’uso che ne facciamo in reparto è ancora spending review? Non si può basare ogni acquisto solamente sul criterio economico: in un settore come il nostro i fattori in gioco sono troppi. A cominciare dalla salute dei pazienti». Puricelli ironizza sulle scelte imposte dal governo Monti: «Ho visto ospedali, in Africa, in cui i pazienti devono portarsi le lenzuola e il cibo da casa. Spero non vogliano ridurci così».Sotto accusa, come in quasi tutti i settori merceologici, ci sono ancora una volta i prodotti fatti in Cina o nell’Est Europa. Costano meno dei prodotti italiani, ma la qualità, dicono gli addetti ai lavori, non sempre è equiparabile. «Per di più, in un momento come questo, vorrebbe dire voltare le spalle all’Emilia terremotata, perché moltissimi dei prodotti con un buon rapporto qualità prezzo arrivano dal distretto di Mirandola» fa notare Minoja.La pediatria, al Del Ponte, non si discosta da altri reparti, come spiega il primario Luigi Nespoli: «La maggior parte dei macchinari nuovi sono arrivati grazie a donazioni fatte da associazioni o da privati. E meno male, perché per un ospedale come questo un minimo livello di qualità è vitale». Soprattutto per i pazienti ma anche, Nespoli lo sa bene, per gli studenti. «Anche perché è il loro lavoro di specializzandi, molto spesso, a dare ossigeno ai reparti».

s.bartolini

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