Parla di Turchia l’ultimo progetto di Carlo Prevosti, giovane regista varesino che ha scelto il documentario come sua forma di cinema preferita.
Un film che deve affrontare il dilemma del diritto d’autore del nuovo millennio: come si possono applicare le vecchie leggi sul copyright alla velocità e al mare di contenuti del web?
Ma soprattutto, il film di Prevosti vuole raccontare una storia di passione civile, una ribellione pacifica ma radicale a pochi passi da casa nostra, dove un popolo intero chiede libertà e dignità.
Il titolo riprende l’espressione sprezzante con cui gli occupanti di Gezi Park, punto di partenza dei disordini di piazza Taksim ad Istanbul e delle proteste che dal 28 maggio tengono alta la tensione in Turchia, vengono definiti dal premier Recep Tayyip Erdoğan: «Çapulcu», ovvero straccioni, teppisti.
In giugno Carlo Prevosti si ritrova per la prima riunione di una nuova associazione culturale milanese, “Cecinepas”.
Le proteste di Gezi Park e piazza Taksim sono appena iniziate, ma attira l’attenzione. «Volevamo saperne di più – racconta Prevosti – perché la Turchia è il paese orientale più vicino all’Europa, sia geograficamente che culturalmente».
«Da anni sta tentando di diventare addirittura membro dell’Unione Europea, e ora anche lì si iniziava a sentire l’influenza delle primavere arabe, con una protesta pacifica che coinvolgeva giovani e anziani, lavoratori, studenti e dirigenti, che chiedono più dignità e più libertà». Nasce così l’idea di “Çapulcu”, che diventa un film corale: sia per il gran numero di voci che parlano davanti alla telecamera, sia per il numero di giovani cineasti che collaborano per crearlo. Oltre a Prevosti, infatti, il film porta la firma di Benedetta Argentieri, Claudio Casazza, Duccio Servi e Stefano Zoja.
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