In una gelida, terribile notte di novembre di due anni fa, la morte si era voluta presentare, in punta di piedi come un ladro silenzioso e invisibile, nell’abitacolo della roulotte dove papà e i suoi piccoli e dormivano, in attesa di svegliarsi la mattina per gustarsi una gara di motocross nel Torinese. Le esalazioni di monossido di carbonio di una stufetta difettosa hanno spazzato via una famiglia lasciando sola , che per ricordare i suoi cari, a due anni di distanza da un evento luttuoso anche per il Varese perché il piccolo Martino vestiva la maglia biancorossa nella squadra dei bimbi di sei anni. , ex responsabile della Scuola Calcio varesina, per abbracciare mamma Licia.
Questo lutto assurdo è stato il più terribile nella storia del Varese, insieme alla morte del nostro indimenticabile “Prof” Alfredo Speroni. Sono stati due episodi che mi hanno massacrato emotivamente. E la scomparsa di un bimbo di sei anni è qualcosa di totalmente insensato. Pensate che l’avevo salutato dopo l’allenamento di due giorni prima, dandogli l’appuntamento alla settimana successiva.
Come al solito ci siamo scambiato un sorriso. Lui era così: sempre solare, contento e felice. Era un bimbo pacioso e lo chiamavamo «polpetta» perché era grassoccio. In campo faceva anche un po’ di fatica a correre ma non c’era nessun problema dal momento che era molto coinvolto. Nel giro di neppure 48 ore
però la sua vita si è spezzata in modo devastante. Quando ho saputo la tremenda notizia ho pensato subito a mamma Licia e il Varese si è attivato per mettere in piedi una sorta di “comitato di salvezza” per cercare di trasmettere tutto l’affetto possibile a una donna rimasta improvvisamente senza figli e senza marito.
Ricorderemo quel tremendo 10 novembre di due anni fa con delle partite in onore di Martino proprio sul campetto in erba sintetico che sta dietro la tribuna e porta il suo nome. Cosimo, Federico e Paola sono tre persone splendide che lavorano nella Scuola Calcio del Varese e hanno imbastito una sorta di mini torneo a squadre miste: i bambini giocheranno insieme ai biancorossi di Melosi che, subito dopo la partita di campionato con l’Accademia Pavese, usciranno dal terreno principale dello stadio per andare su quello che si trova all’uscita degli spogliatoi e continueranno a tirare calci alla palla coi bimbi.
Il Franco Ossola è stata casa mia per 11 anni, spazzati via da sei mesi devastanti. Rientrare allo stadio sarà un’emozione forte anche perché ho ancora in mente lo scempio che aveva fatto rinviare Varese-Avellino, ad aprile. Quel sabato mattina ero arrivato a Masnago per i soliti preparativi, visto che i nostri bambini dovevano accompagnare a centrocampo, come sempre, l’arbitro e i giocatori. Ma questa cerimonia – un momento di fair-play e rispetto in Serie B – non è potuta andare in scena per colpa di qualche sciagurato che ha sfregiato il campo: non solo la casa della prima squadra ma anche dei miei bimbi. Lì, sull’erba verde che guarda il Sacro Monte, correvano anche i più piccoli e sapete che abbiamo fatto anche delle merende sul prato?
Per nulla. È una ferita che sento dentro, nel cuore. La cosa che mi fa più male è che quell’atto barbaro ha sgretolato di colpo gli 11 anni di storia del Varese 1910. Quando l’abbiamo costruito, nell’estate del 2004, puntavamo a interpretare il calcio differentemente. E ci siamo riusciti ma quell’assurdità ha rovinato tutto. Per cosa? Perché la squadra stava retrocedendo? Le tragedia della vita sono altre e mamma Licia, purtroppo, lo sa. Prima di parlare dovremmo fermarci a riflettere. E dovremmo farlo tutti a lungo.
Ho continuato a lavorare per il Varese con tanta passione insieme a Mario Belluzzo, a Paolo Masini, a Stefano Milanta e a Nicola Piatti. Lo abbiamo fatto insieme per tutta l’estate, nonostante il disastro societario, pensando prima di tutto ai nostri ragazzi. E lo abbiamo fatto non percependo un euro di rimborso, per sei mesi. Ma alla fine siamo stati messi tutti nello stesso calderone, come dimostra la devastazione del campo di cui ho appena finito di parlare. Devo ancora smaltire i veleni accumulati in quei sei mesi e ora mi accontento di applaudire il Varese che è rinato e sta riaccendendo grande entusiasmo. Per adesso sono passato al rugby ma non potrei andare mai in nessuna altra squadra di calcio perché sono nato biancorosso e morirò biancorosso. Nei prossimi giorni dovrò vedere il general manager Paolo Basile, che vuole parlarmi. Nella vita non si sa mai. Io aspiro a un calcio che non nutra il culto esasperato della vittoria ma punti prima di tutto alla crescita umana.