Ormai c’è una Giornata mondiale per qualunque cosa. Per il sonno, per il gelato, per la gentilezza, per gli abbracci, per i calzini spaiati, per il gatto, per il cane, per il suolo, per la montagna, per l’acqua, per l’aria, per la lentezza, per la felicità. E l’elenco potrebbe continuare all’infinito, perché ogni anno se ne aggiungono di nuove, spesso con una pressione comunicativa sempre più intensa e sempre meno selettiva.
Il risultato? La sensazione di un gigantesco rumore di fondo. Se tutto ha la sua giornata, nulla riesce più a distinguersi davvero. Quello che un tempo era uno strumento utile per sensibilizzare su temi seri – salute, diritti, ambiente – oggi rischia di trasformarsi in un rito automatico, quasi obbligato, che produce più post social che cambiamenti reali.
Il problema non è celebrare un’idea o un valore. Anzi, alcune ricorrenze hanno un peso indiscutibile e mantengono un ruolo importante: ricordano tragedie, riportano l’attenzione su malattie dimenticate, mobilitano interi sistemi istituzionali. Ma quando il calendario diventa un mosaico di “giornate mondiali” distribuite a pioggia, il messaggio si indebolisce e la partecipazione si trasforma in un gesto meccanico, da svolgere perché “si fa così”.
La deriva è evidente soprattutto nella comunicazione: ogni giornata diventa un’occasione per pubblicare contenuti, lanciare hashtag e produrre il consueto pacchetto di buoni sentimenti. Un ciclo che dura 24 ore, forse meno, e poi svanisce fino alla prossima ricorrenza. Una sensibilizzazione “istantanea”, che non scava e non incide.
Forse sarebbe il caso di tornare a poche ricorrenze significative, che parlino davvero alla gente e sul serio alzino il livello dell’attenzione pubblica. Non perché il mondo abbia meno problemi o meno cause da difendere, ma perché l’iperinflazione di giornate commemorative finisce per banalizzare anche ciò che meriterebbe rispetto, ascolto e continuità.
Insomma, non serve una giornata mondiale in più: serve una buona volta una giornata normale, senza slogan e senza calendario, in cui fare ciò che conta davvero.













