Tutti i sorrisi di chi va a Varesello

Andare a vedere lavorare i ragazzi di Melosi nel centro delle Bustecche può riservare piacevoli sorprese. Dalla maglia di Sannino appesa al bar, fino all’incontro con un grande ex e una ragazzina innamorata

Un allenamento del Varese, sul campo delle Bustecche, dura al massimo un paio d’ore. Il tempo per vedere all’opera i biancorossi ma anche per scoprire tante storie ricche di densa umanità. Arrivando a Varesello fa subito molta tenerezza il «chiosco» che si trova proprio all’ingresso della tribunetta. Col passare delle settimane, Giovanni, gestore che può proprio dire di avere il Varese nel cuore, sta tappezzando l’essenziale locale di biancorosso.

Commuove la bandiera con la scritta «Varese Calcio», attuale denominazione del club: lo stendardo – glorioso – risale però agli anni Ottanta con quella V tanto caratteristica di un tempo lontano ma ancora presentissimo nella testa degli appassionati. Monica, moglie di Giovanni, tira fuori un altro cimelio prezioso: è un gagliardetto datato 1980 che sul retro ha tutte le firme dei giocatori dell’epoca e naturalmente non manca quella dell’allenatore e cioè il mitico Eugenio Fascetti. Ma il condottiero più amato a Varese è Beppe Sannino e ovviamente la maglietta biancorossa con il suo celeberrimo «Fun Cool» spicca accanto al bancone del baretto. L’indumento porta la firma del Beppe. Gli telefoniamo e lui ci promette: «Verrò sicuramente a vedere un allenamento dei ragazzi di Giuliano Melosi. E berrò un caffè al chiosco delle Bustecche». Aspettiamo Sannino che darà ancora più senso della famiglia a un ambiente unico. Quello dei tifosi biancorossi che tutti i giorni arrivano un’ora prima dell’orario fissato per l’entrata in campo dei giocatori di Melosi. L’anticipo è presto spiegato: soffermarsi a scambiare qualche parola con il magazziniere Aldo Cunati e dare il cinque a tutta la squadra che arriva alla spicciolata non ha prezzo quando si ha nel cuore solo il Varese. Ieri, seduto in tribuna alle Bustecche c’era anche Sergio Bianchi. Il nome non dirà forse molto ai più ma chi conosce bene la storia biancorossa se lo deve ricordare per forza. Ha fatto parte delle giovanili biancorosse alla fine degli anni Sessanta ed era nell’orbita della prima squadra allenata da Nils Liedholm: «Ma come avete fatto a riconoscermi?» ci domanda. Poi spiega: «Ho conosciuto Bettega, ho giocato con lui nel 1969-1970 ma ho fatto due presenze in Coppa Italia: contro il Torino e il Cagliari. Non ho mai perso perché abbiamo sempre pareggiato 0-0».

L’immagine più bella di ieri: una mamma (Alessandra) gioca con il suo bambino (Francesco) mentre i giocatori si allenano

L’immagine più bella di ieri: una mamma (Alessandra) gioca con il suo bambino (Francesco) mentre i giocatori si allenano

(Foto by Varese Press)

La sua carriera ha avuto però un brusco stop: «A Cagliari avevo colpito il palo e il tecnico Manlio Scopigno aveva messo gli occhi su di me: sarei dovuto andare in Sardegna. Pensate avrei potuto giocare insieme a Gigi Riva ma poi io mi sono fatto male e il Cagliari aveva preso Bobo Gori dal Vicenza». Bianchi non vuole neppure farsi fotografare: non gli piacciono i flash ma ama parlare: «Il calcio fatto di polemiche non fa per me, bisogna solo giocare in modo intelligente. Le persone grandi sono quelle che sanno stare anche in ginocchio non quelle che camminano altezzose». Sergio Bianchi è nato nel 1950 mentre una ragazzina seduta nella tribuna di Varese ha visto la luce nel 2000. Il divario generazionale si annulla per la fede biancorossa. La ragazza è lì perché è una ammiratrice di Leonardo, il giovane brasiliano su cui punta la dirigenza per il futuro. Alla fine dell’allenamento, Rinaldo Ossuzio, inesauribile tifoso di Valle Olona, accompagna la giovane tifosa, che abita fuori Varese, al pullman e c’è chi scambia questo strano duo per nonno e nipotina. Anche Andrea Luoni, altro biancorosso doc che è stato spesso ospite delle nostre pagine, si presta a fare l’autista. Lui accompagna alla stazione Paul Pere, giocatore in prova del Varese che arriva da Magenta e, per tornare a casa, deve prendere due treni oltre alla metropolitana. Anche lui fa tanta tenerezza e chissà che non possa entrare a far parte di questa famiglia unica.