Tutto il mondo a Parigi, anche Varese «Qui abbiamo fatto la storia»

Stefano Ungaro, bocconiano, ieri era in Place de la République: «Chiedevo: “Perché siete qui”? E tutti: “Per dir loro che ci siamo”»

– «La manifestazione di oggi (ieri, ndr) è stata emozionante e importante: avevo la sensazione di essere lì a fare la storia. La prima impressione è stata: mai visto tanta gente in vita mia. Ma soprattutto sono rimasto impressionato nel vedere un flusso di persone così importante silenzioso, calmo».
«Si è trattato di una via di mezzo tra una manifestazione e un funerale, considerata l’aria solenne che si respirava». A parlare è , varesino di trent’anni, residente a Parigi ed ex collaboratore del nostro quotidiano.
Nel 2010 Stefano ha deciso di partire con la sua ragazza, dopo la laurea specialistica in Economia, alla volta di Parigi in cerca di opportunità.
Ora sta frequentando un dottorato di storia finanziaria e, nel frattempo, insegna finanza in una “business school”.

Stefano ieri non è voluto mancare all’appuntamento in Place de la République. «Tantissima gente, soprattutto parigini ma anche siriani, portoghesi, guatemaltechi, tanti italiani. Ho chiesto a chi incontravo perché erano lì. La risposta più frequente è stata: “È importante fare vedere che ci siamo, che siamo tanti e che siamo liberi, volevano metterci in ginocchio e invece ci hanno fatto rialzare”».

Stefano Ungaro, varesino che vive a Parigi

Stefano Ungaro, varesino che vive a Parigi

All’appello non è mancata la comunità ebraica. «Moltissimi gli ebrei presenti alla manifestazione, con bandiere, cartelli, slogan. La loro comunità è molto presente e integrata a Parigi, è stata colpita duramente e la reazione è stata di unità nazionale e non di rifugio nella comunità: erano sempre loro i primi a intonare la marsigliese». Stefano racconta che la sensazione è stata «quella di un risveglio. Una risposta di popolo non tanto “contro” qualcosa o qualcuno ma per noi, per noi tutti, per dimostrare che siamo uniti e che ci sono dei valori che ci uniscono, libertà, uguaglianza e fratellanza».
Quasi tutti portavano matite o cartelli “Je suis Charlie”, simbolo di quel che è rimasto della strage consumatasi all’interno della redazione del settimanale satirico. «Il tema della libertà di stampa e di parola è stato l’altro tema importante della giornata, è qualcosa che in Francia è molto sentito, a destra come a sinistra».

Il grido unanime che si è alzato nel pomeriggio di ieri a Parigi è stato: giù le mani dalla libertà.
«La libertà non si tocca, e il fatto che delle persone siano state uccise perché disegnavano vignette è, oltre che una cosa orribile, anche un affronto a una concezione della libertà che forse era andata un po’ persa e che oggi (ieri, ndr) in molti hanno voluto ricordare e far rinascere».
Impressionante il dispiegamento di forze: cecchini sui tetti, 24 unità della riserva nazionale, 20 squadre della brigata anti crimine della polizia di Parigi, 150 agenti in borghese “incaricati della protezione delle alte personalità e della sicurezza generale”. Duemila poliziotti e 1.350 militari schierati a Parigi per proteggere gli oltre 45 tra capi di governo e di Stato e i manifestanti.
«La loro presenza, nonostante la consapevolezza che non potesse di certo mancare, non si è avvertita. Inoltre, tutto si è svolto senza la necessità di un loro intervento».