Un anno fa l’incendio del Maga. A dodici mesi dal rogo il critico d’arte Vittorio Sgarbi sferza Gallarate e chiede più energia per il futuro del museo rinato dalle fiamm. «Quello che manca è una testa che stia nel corpo del museo». Solo colmando questa lacuna il Maga può rilanciarsi a livello nazionale. Questa la ricetta di Vittorio Sgarbi per il museo di via De Magri.
E poco importa che la «testa» sia la sua o quella del collega
: «Prima lo chiesero a me, poi a lui, in una confusione politica che ha avuto effetti peggiori dell’incendio». Sì, «i sindaci ( prima, poi, ndr) giocarono una partita sbagliata sul fatto che il critico fosse di destra o di sinistra: l’essenziale è che sia bravo». Col risultato che «io non ho potuto agire e immagino anche Caroli avrà avuto limitazioni». A completare l’elenco, anche , il primo al quale si rivolse l’amministrazione comunale nella seconda metà degli anni Duemila. Ma anche i suoi progetti rimasero nel cassetto.
Il fatto è che il Maga non ha giocato la carta che avrebbe potuto essere vincente: «Bisognava far diventare Gallarate il museo di arte contemporanea di Milano, in attesa che venga costruito quello del capoluogo. Che nel 2015 non ci sarà». Insomma come il castello di Rivoli per Torino, come il Mart di Rovereto per Trento.
La logica, spiega, «è che uno spazio dedicato alla contemporaneità può essere fuori dal centro proprio perché, si perdoni il gioco di parole, non c’entra con il centro». Tutto questo non è avvenuto. E a questo punto Sgarbi diventa davvero critico: «Lo dico senza polemica, ma Gallarate si è spenta ben prima dell’incendio, subito dopo la mostra dedicata a Modigliani (“Il mistico profano”, che inaugurò la struttura nel 2010, ndr)».E non solo perché il “buco” di 257mila euro sconquassò i conti della Fondazione “Zanella”. La questione è sul piano culturale: «Non è sufficiente organizzare una mostra dedicata ad un’artista celebre».
Quello che occorre è invece «un’attività pensata, anche magari non corrispondente alle linee dominanti nell’arte contemporanea, ma capace di sorprendere». L’esempio? La mostra che il Mart di Rovereto ha dedicato tra ottobre e gennaio ad Antonello da Messina, che «è un’artista eterno, quindi è contemporaneo. E ha fatto esistere il luogo». Diversamente, si ottiene «un museo in cui non accade niente che meriti di andarlo a vedere. E per me il museo di Gallarate non c’era più da molto tempo, nemmeno sapevo dell’incendio dello scorso anno».Sì, «possiamo dire che il Maga non è mai nato, nonostante le promesse positive. È partito male e poi ha fatto qualche vagito con ». Ora, detto che i fondi a disposizione non sono molti, come si può rilanciarlo? «Ho sempre pensato che un museo che abbia un’autorità possa funzionare anche con pochi soldi». Ovvero con una «testa» che decida in che direzione muoverlo. Qualche esempio? «Bisogna dare spazio alle mostre che Milano non fa, visto che si limita alle esposizioni generaliste», spiega Sgarbi, «si può pensare a cose eccentriche, come Antonello al Mart, o anche solo un quadro di Leonardo. Non bisogna pensare necessariamente all’arte antica, ad esempio Lucian Freud esprime una tendenza dell’arte contemporanea che non corrisponde a quella che tutti vogliono». Per tutto questo però, e qui il ragionamento torna al punto di partenza, «ci vuole una testa pensante».
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