Un capitano, c’è solo un capitano

Il commento del direttore Andrea Confalonieri dopo il tris del Varese sul Saronno al Franco Ossola sotto gli occhi attenti di Neto Pereira

Scende la sera e tutti rimangono al Franco Ossola perché sono già a casa. Parli con ognuno di loro come se lo conoscessi da una vita. Salti con i tifosi avversari. Bevi con i tuoi compagni. E aspetti che la curva indichi Neto Pereira – appostato in tribuna stampa – per alzarti in piedi insieme allo stadio e urlare “c’è solo un capitano”. Stavolta il terzo tempo inizia ancora prima che cominci la partita, quando i tifosi del Varese e quelli del Saronno cantano e saltano assieme per novanta minuti. Urlando contro il cielo, uniti, “torneremo in serie B” e scatenando duemilaecinquecento applausi indistinti, perché sugli spalti c’era una sola squadra: il calcio. Il pubblico del Franco Ossola forse non ha mai riversato su un’unica persona un amore così grande, perché le cose importanti diventano insostituibili soprattutto quando non ce le hai più. Così accadrà quando un giorno Sannino rifarà il suo giro di campo proprio qui. Così accade con Neto Pereira quando la tribuna stracolma si alza e, girandosi verso le vetrate dietro le quali era quasi nascosto, inneggia il suo nome e lo porta in trionfo. Così accade quando il capitano esce dal tunnel e raggiunge quella che

è sempre la sua squadra sotto la curva: salta, ride, saluta, si commuove e, battendosi sul petto più volte, come ha sempre fatto dopo ogni gol e ogni sostituzione, dice a tutti “siete il mio cuore”. E tu, Neto, sei il nostro cuore. Un cuore come quello dell’Alfredo sulla sua carrozzina a cui ha dato il cinque. O come quello del tifoso a cui hai sussurrato nell’orecchio: «Tra di noi non è mai finita. Ci rivedremo». No, non è finita. E sì, ci rivedremo: lo disse Buzzegoli alla curva dopo la finale persa 1-0 a Cremona. Verrà il giorno del tuo ritorno. «È finita la partita e nessuno se ne vuole andare a casa» dice un tifoso scendendo dalla tribuna dopo essersi spellato le mani per almeno dieci minuti e prima di fiondarsi nel terzo tempo da Oktoberfest che ormai è un classico per questi colori. Pronunciò le stesse parole Luca Sogliano dopo un allenamento del Varese di Sannino sul campetto in sintetico dello stadio: «È finito l’allenamento ma i giocatori non se ne vogliono andare a casa». Perché la famiglia è qui, tra questi gradoni, su quest’erba. Dove giochi e puoi sentire ovunque lo stesso profumo: quello inconfondibile del domani.