«Un disabile può lavorare La mia storia è un esempio»

Inciampare, non riuscire a fare le scale: scoprire a 14 anni che la causa di tutto questo si chiama miopatia congenita centronucleare. Iniziare a combattere per costruirsi una vita, nei limiti del possibile, normale.

È anche grazie alla forza di volontà se , 34 anni, ha trovato un lavoro e coltiva con successo la passione della scrittura. E non si è lasciata distruggere dalla malattia che ha colpito i suoi muscoli, rendendoli debolissimi. Al punto che «non riesco a sollevare qualcosa che pesi più di due chili», racconta, «non mi fido più ad andare a prendere un caffé da sola perché magari mi trovo di fronte un gradino». Un ostacolo che per lei, anche se non vive su una carrozzina, è insormontabile.

La miopatia è stata diagnostica a 14 anni: «I miei genitori non riuscivano a capire perché fossi così lenta a fare tre piani di scale». Di fronte ai risultati degli esami «mi crollò il mondo. Non pensavo di essere malata».

E nemmeno è stato facile accettare la notizia. «Fino ai 23 anni pochi sapevano che ero malata, preferivo far credere di essere imbranata», ricorda, «se tornassi indietro, non mi farei più prendere in giro: spiegherei perché succede, senza vergogna».

C’è voluto un anno di analisi, durante la pausa pranzo, rifacendosi il trucco sciolto dal pianto in auto prima di tornare nel negozio dove lavorava all’epoca. Durante questi incontri Ilaria ha imparato a chiedere aiuto «con un sorriso. E senza sentirmi inferiore».

La sua psicologa è stata la prima a leggere i suoi racconti. «Ho iniziato a scrivere da ragazzina, avevo dentro una gran rabbia e quello era un modo per sfogarmi». Fino a mettere insieme un romanzo: «Ora è in fase di valutazione, ma non dico a chi l’ho mandato per scaramanzia». Intanto ha già vinto diversi premi, con il nome d’arte , e raccoglie i suoi lavori su infondoagliocchi.blogspot.com.

La scrittura, però, oggi è solo un hobby. Ilaria lavora a Cargo City, per una compagnia aerea. Cercare un’occupazione è stato doloroso e in qualche caso anche umiliante, ma alla fine ce l’ha fatta: «Al colloquio ho detto quali fossero le mie capacità, i miei limiti e le mie esigenze». E ha ottenuto un lavoro che può svolgere. «Mi ritengo la testimonianza vivente che un disabile non deve pensare che non potrà mai lavorare».

Ilaria è arrabbiata per quello che il destino le ha riservato, «ma non maledico la vita». Ci riesce grazie «a degli amici veri, una grande famiglia “ingombrante” che mi sostiene». E poi il suo carattere: «Se ti arriva una botta come la mia puoi lasciarti tirare sotto. Oppure cercare di fare quello che ti piace». Ilaria ce la sta facendo: «Per arrivarci, però, mi sono serviti tanti anni. Tanti, tanti».

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