Una dichiarazione dei giorni scorsi diceva che «in Italia si è abituati ad affrontare questi problemi sull’onda emotiva dell’emergenza», poi ancora che «prima di accorpare i comuni bisognerebbe mettersi d’accordo sulle funzioni da attribuirgli» e infine che «bisognerebbe affrontare il problema con pazienza e raziocinio».
Mi chiedo solo una cosa: ma come fa a parlare così un esponente di spicco di un partito che esprime l’attuale Governo, il quale ha avuto una maggioranza “bulgara” per poter far passare tutte le riforme che voleva?
Giuseppe Colombo
A sentire certi politici, non solo locali e non solo leghisti, pare che questo governo non sia figlio di nessuno. O, se lo è di qualcuno, tale parentela viene esplicitata solo di tanto in tanto, quando conviene. Molti rappresentanti degli enti locali, per esempio, contestano decisioni di cui il partito grazie al quale amministrano le città e che innerva la maggioranza di sostegno al governo, è responsabile. Vien da pensare un’ovvietà: che prima del governo, essi dovrebbero mettere sott’accusa il partito. Ma ben si guardano dal farlo. Perché se processassero il partito, sarebbero condannati dal partito medesimo a lasciare il posto che occupano. Che cosa dovrebbero fare, allora, questi amministratori? Dovrebbero dimettersi, dicendo che sono obbligati al clamoroso gesto poiché un gesto analogo non lo compiono coloro dai quali ce lo si aspetterebbe.
Quando si sbaglia, bisogna pagare. E pagare significa schiodarsi dalla poltrona sulla quale invece si continua a rimanere. Gli amministratori del territorio dovrebbero chiedere questo al governo che contestano. Non chiedendoglielo, mettono i loro amministrati nella condizione di chiedersi a che cosa serva protestare. E alimentano la circolazione della sfiducia verso la classe politica, dalla quale si pretende autorevolezza, credibilità, indipendenza di giudizio e di azione. Non c’è un Paese reale a praticare l’antipolitica: c’è un Paese irreale che non pratica la politica come dev’esser praticata.
Max Lodi
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