«Un incubo, mio figlio non è un mostro» E oggi Binda racconterà la sua verità?

Sotto choc la madre e la sorella dell’uomo accusato di aver ucciso Lidia, che si sfogano con i familiari. L’avvocato: «Nega tutto». Probabile il silenzio davanti al gip: potrebbe chiedere di parlare con il pm

– «Questo è un incubo, il mondo ci è crollato addosso, mio figlio non può essere quel mostro». , 74 anni, la madre di in carcere da venerdì per l’omicidio 29 anni fa di,dal momento dell’arresto non ha più voluto vedere nessuno e si è sfogata solo con i parenti più stretti. Venerdì subito dopo l’arresto del figlio di 49 anni che vive con lei si era limitata a dire: «Non voglio commentare».
Nei giorni, i dettagli dell’inchiesta che hanno portato il figlio in carcere con l’accusa di aver stuprato e ucciso Lidia Macchi, il 5 gennaio 1987, hanno consumato la settantaquattrenne che si sarebbe sfogata con i familiari più stretti.

Anche la sorella di Stefano, Patrizia, 50 anni, un paio di anni più di lui, ha scambiato solo qualche sms con le amiche più care. «È una tegola che ci ha colpito in pieno…», ha scritto a una conoscente che abita poco distante. «La mamma e la sorella sono disperate e sono pochi quelli che sono riusciti a vederle in questi giorni – ha detto una lontana parente, Giselda, che abita quasi di fronte all’abitazione dei Binda ed è coetanea della madre di Stefano – Io non ho ancora trovato il coraggio di telefonarle, ma so che mia figlia si è sentita con la sorella, sono cresciute insieme e hanno la stessa età». Della stessa età è anche l’amico fraterno di Stefano, don , ora parroco a Torino, diventato un altro dei personaggi chiave di questo cold case.«Abitava dietro la villa dei Binda e stavano sempre tutti insieme – ha ricordato ancora la signora Giselda – Ma sono anni che don Giuseppe qui non si è più visto anche se ogni anno da Brebbia gli viene inviato l’invito per la festa dei coscritti». Oggi Stefano Binda comparirà davanti al Gip di Vareseper l’interrogatorio di garanzia. , il suo legale, lo ha incontrato in carcere dopo l’arresto: «Rigetta ogni addebito. Nega di aver scritto la lettera e ancor più di aver ucciso Lidia Macchi». Binda oggi potrebbe avvalersi della facoltà di non rispondere, salvo poi riservarsi di chiedere di essere ascoltato dal pm. Ad oggi il legale non ha depositato alcuna istanza di scarcerazione al tribunale del riesame. Ma chi è Stefano Binda? Studente del Cairoli, cambia scuola e si trasferisce a Verbania dopo due anni.«Intellettuale maledetto», così gli amici dell’epoca, lo descrivevano.

Leader carismatico, che frequentava gli ambienti di Comunione e Liberazione, quello era il collante anche per la sua frequentazione con Lidia, dove però da alcuni era visto “come arrogante”. Un opportunista che “selezionava gli amici”. Oggi si direbbe che volesse stare con il gruppo trendy, non con gli “sfigati”. Binda il poeta, l’appassionato di libri, il grande studioso di scritti religiosi. Tanto che davanti alla lettera anonima “in nome di un’amica” recapitata alla famiglia Macchi il 10 gennaio 1987 giorno del funerale di Lidia, chiave di volta dell’inchiesta che per gli inquirenti è una confessione scritta da Binda, molti degli amici di allora oggi asseriscono:«Può averla scritta soltanto lui», tanto la missiva è piena di riferimenti religiosi. Binda che nel 1984 conosce l’eroina e che da allora entra ed esce dalla tossicodipendenza tanto da essere stato denunciato, nel 2007, per guida sotto l’effetto di stupefacenti. Binda che però all’epoca faceva paura ai compagni di Cl, che era temuto, che «è freddo, lucido e calcolatore», dicono i magistrati. Che del gruppetto di allora in seno a Comunione e Liberazione è l’unico a non far carriera. L’amico del cuore diventa sacerdote e viene destinato a una grossa parrocchia torinese, l’altro amico è addirittura nunzio apostolico in africa. La ragazza innamorata di lui e respinta oggi è al vertice di una serie di cooperative di servizio. Soltanto Binda, dopo quel 1987, lui che sulla carta era un leader, è relegato a margine. Disoccupato, non ha mai lavorato in vita sua. Dopo la laurea in filosofia ha sempre vissuto con la madre, mantenuto anche grazie alla sorella “sgobbona” che vive nello stesso stabile.