Un mese e spiccioli per non naufragare davvero. Non serve annaspare, basta continuare a lavorare

Il commento di Fabio Gandini

Caserta, Milano, Brindisi, poi la pausa, poi Pistoia. Un mese e spiccioli. Di lavoro silenzioso, di speranze che continuano a covare sotto la cenere di un’evidenza scivolosa e pericolosa. Un mese e spiccioli di processi da tenere lontani, un mese e spiccioli di fede.

Un mese e spiccioli, passati i quali si tireranno le somme: dovesse essere ancora a 8 punti la quota dell’inferno varesino, a dieci giornate dalla fine la retrocessione in serie A2 diventerebbe molto più di un’ipotesi. E non si tratterebbe di aritmetica, eventualmente ultima della fila a schiacciare i sogni, quanto di altri dettagli che avrebbero un peso psicologico devastante: sarebbe ancora ultimo posto e sarebbe solitario, perché Cremona – ve lo diamo per certo – non perderà altre quattro partite di fila (nell’ordine: Trento in casa, Caserta fuori, Torino e Venezia di nuovo fra le mura amiche); coach Caja, la scossa per antonomasia, avrebbe un ruolino di marcia da 0 vittorie e 8 sconfitte, bilancio in grado di minare le certezze anche di un uomo e di un professionista esperto e granitico come lui; sulla schiena già ricurva, ma non ancora piegata, di Cavaliero e compagni altri quattro insuccessi diventerebbero altrettante prove di insostenibile inadeguatezza, che si sommerebbero a quelle collezionate nel cammino già percorso, andando a frustrare l’impegno, la dedizione, i miglioramenti.

A quel punto sarebbe quasi A2 e non si farebbero più prigionieri: non i giocatori, non la società, non “gli” allenatori, non il Consorzio, non chi alla domenica va al palazzetto a criticare al primo errore, chi pontifica sulle possibilità economiche di piazza Monte Grappa e poi non spende 100 euro all’anno per aderire al Trust. Se Varese scende, tutti scendono con Lei. E le parole, da qualunque bocca pronunciate, non servirebbero più a nulla: basterebbero i fatti, perché sarebbero ultimi, definitivi.

Fatti come quelli necessari da qui ad allora, fatti che abbiano la plasticità dei due punti, da conquistare sicuramente contro Pistoia, ma poi anche a Caserta o a Brindisi, così “sanando” le occasioni sprecate fino ad oggi che ormai non si contano nemmeno più. Qui non servono più calcoli, come quelli insulsi che fissano la quota salvezza a tot vittorie, come se il cammino verso la permanenza in serie A fosse una passeggiata solitaria: qui servono solo imprese.

Ci si salverà con il lavoro. E basta. Non ci sono soldi per prendere un playmaker più performante di Eric Maynor, un’ala più fresca di Kangur o un giovanotto che non vada sempre a sinistra come Avramovic: scordatevi interventi sul mercato, e nemmeno desiderateli. Perché salvarsi non vuol dire annaspare alla ricerca di un messia dei canestri, magari aggravando i conti societari con un riverbero che si farebbe sentire stagione dopo stagione (sì: proprio come sta accadendo oggi con gli errori del passato…). Salvarsi significa assumersi delle responsabilità, trovando dentro se stessi la luce in fondo al tunnel della propria paura.