Un vocabolario per il dialetto di Varese: salvare le parole e l’anima del territorio

Il progetto “Orino – Paees dul dialèt” raccoglie parole, suoni e modi di dire delle comunità varesine, tra memoria culturale e identità locale.

VARESE – Preservare la memoria linguistica significa custodire l’anima di un territorio. Nasce da questa consapevolezza il progetto per la realizzazione di un vocabolario del dialetto parlato lungo le sponde del lago di Varese, ispirato al modello del Centro di Dialettologia di Bellinzona.

L’idea ha preso forma grazie all’incontro tra Cesare Moia, promotore del progetto “Orino – Paees dul dialèt”, e Alberto Palazzi, direttore della rivista culturale Menta e Rosmarino, da sempre impegnata nella valorizzazione delle identità locali. Il vocabolario sarà pubblicato a puntate sulle pagine della rivista, seguendo l’ordine alfabetico.

Una ricerca appassionata

A trasformare l’idea in realtà sono stati Maurizio Danelli e Giorgio Sassi, studiosi di linguistica locale che da anni raccolgono parole, suoni e modi di dire delle comunità varesine. Il loro lavoro ha dato vita a un repertorio linguistico capace di restituire la ricchezza e la varietà delle parlate attorno al lago.

Ogni campanile custodisce una sfumatura particolare: la parlata di Azzate non è la stessa di Oltrona o di Groppello, e il vocabolario terrà conto di entrambe le varianti, offrendo un vero viaggio linguistico lungo le due sponde del lago.

Salvare un patrimonio in via d’estinzione

Il progetto non si limita a raccogliere parole: vuole anche preservare termini legati al mondo contadino e artigianale, oggi quasi scomparsi. La modernità, con scuola, televisione e media, ha progressivamente impoverito la lingua parlata, rendendola meno autonoma e più influenzata dall’italiano.

Secondo Moia e Palazzi, conservare il dialetto non è un gesto nostalgico, ma civico e culturale: significa difendere le radici di una comunità e il modo di pensare e sentire che le appartiene.

Il dialetto va parlato, non solo scritto

«Il dialetto vero vive solo se lo si deposita sulla bocca della gente, in particolare dei propri figli – spiegano da Menta e Rosmarino –. La scuola? Lasciamola insegnare l’italiano. Allora che fare? Bisognerebbe parlarlo, continuare a parlarlo. Punto. A tavola, per strada, con amore e senza vergogna. Farlo vivere sulle labbra della gente. Quando questo non accade più, dobbiamo almeno documentarlo, per chi un giorno vorrà curiosare nel passato dei loro padri».

Un progetto, quindi, che vuole dare dignità e memoria alle parole “perdute” e mantenere viva l’identità culturale del lago di Varese.