Una vita a cercare il nostro posto

Credo che buona parte della nostra esistenza sia impiegata nella ricerca della giusta distanza.

In altro modo potremmo dire che cerchiamo in ogni nostro movimento di trovare quello il nostro posto, quello spazio vitale che preserva la nostra sfera più intima senza per questo precluderci la possibilità di entrare in contatto con altre persone, condividendo anche aspetti privati e individuali senza sentirci per questo minacciati.

Esiste uno spazio misurabile, identico per tutti, che potremmo prendere come pietra di paragone e definizione di normalità? Chiaramente no, ma può forse esistere, e questo lo tocco con mano ogni giorno nel mio studio professionale e nelle mie relazioni quotidiane, una modalità più o meno funzionale di occupare lo spazio intimo e quello di relazione. Funzionale significa per me che crea benessere, che non ci fa sentire minacciati. L’ intimità deve essere tenuta nascosta. Come cactus nati nel deserto si abituano a vivere con poca acqua, badando a se stessi in modo quasi del tutto autonomo, così alcune persone evitano la continua esposizione all’ altro, fonte metaforica di nutrimento. In genere si sentono sole, ma la vicinanza dell ’ altro è troppo pericolosa per potersela permettere. Al contrario di queste le persone “rampicanti” costantemente necessitano di avere accanto altre piante e di sotegno ostante. Lasciate nel deserto muoiono, da sole non si bastano e sono sempre rivolte verso l’ esterno, che le nutre e da cui dipendono. Che piante siamo? Possiamo toglierci le spine ma al tempo stesso restare capaci anche di essere automomi? Credo esistano in ciascuno di noi entrambe le spinte. Il problema nasce quando il posto in cui abitiamo uccide una delle due piante, e ci troviamo a vivere solo sulla polarità della massima, o della minima, distanza. Dovremmo coltivarle entrambe, permettendo loro di guidarci a seconda del luogo e della relazione in cui siamo ora, aprendoci all’ intimità con l’ altro senza perdere quella sfera che è la nostra individualità. Essere capaci di nutrirci anche da soli e al tempo stesso di lasciarci nutrire dall’ esterno, senza dipenderne. In questa danza continua siamo tutti come porcospini, che cercano di avvicinarsi, senza ferirsi.

Dott.ssa Paola Pugina
Psicologa psicoteraputa

www.psicoterapeuta-pugina.it

Paola Pugina

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