Van De Sfroos ricorda Jannacci «Per me era come un parente»

Davide Van De SfroosPer me Jannacci era come un parente, non troppo lontano, non sempre vicino, di quelli che quando ti entrano in casa mettono tutto a soqquadro, fanno chiasso, e i nipoti impazziscono per lui. Non ricordo con precisione qual è stata la prima sua canzone che ho ascoltato, ma probabilmente si tratta di “El portava i scarp del tennis”, ancora da piccolo. Più in là, invece, rammento le domeniche piovose davanti alla televisione, e ogni tanto faceva capolino con brani incredibili come “Ci vuole orecchio”.L’ho conosciuto in una circostanza molto particolare, un altro pomeriggio piovoso, naturalmente nella sua Milano. Era un’occasione a cui partecipavano più artisti, quasi non pensavo neppure che lui si accorgesse di me. Invece alla fine mi ha abbracciato e mi ha detto cose molto belle sulle mie canzoni. Non dico che si sia trattato di uno scambio di consegne, ma mi ero davvero commosso perché aveva avuto un vero e proprio slancio verso di me. Ricordo che in un suo album, “Come gli aeroplani”, ha scritto, nello spazio solitamente dedicato alle dediche, “Enzo Jannacci per questo suo ultimo lavoro non intende ringraziare nessuno, perché piuttosto amareggiato da chi ha trovato un modo sublime di umiliarlo, incensandolo prima e dandogli una pedata nel culo subito dopo”. Mi aveva colpito che

potesse scrivere una cosa così dura, ma anche così vera in un disco. Ma lui era uno di quei personaggi che, al di là dell’artista, faceva emergere proprio l’uomo e oggi è quello che ci manca di più. Ci sono tanti artisti che rimpiangiamo, ma sono personaggi distanti, irraggiungibili, invece Enzo sembrava uno di quei tuoi amici che ti chiamano a giocare in cortile. E anche se svolgeva una professione serissima e nobile, quella di medico, e quando lo guardavo in televisione sembrava davvero il dottore, allampanato, con la cravatta e gli occhiali, si vedeva che si divertiva. Era un musicista unico. E le sue canzoni sono impegnative: con Francesco Baccini al Premio Tenco avevamo interpretato “Lettera da lontano” mettendocela tutta, e lui ci aveva fatto i complimenti, da lontano, però, perché già allora aveva problemi di salute. Adesso, visto che questa brutta notizia arriva proprio all’inizio del mio tour, mi piacerebbe dedicargli “Quaranta pass”, una canzone che se non avessi ascoltato Enzo probabilmente non avrei mai scritto. Il mio abbraccio più grande va a Paolo Jannacci e a tutta la famiglia anche se penso di non sbagliare affermando che la sua famiglia era allargata, siamo tutti noi, perché tutti abbiamo imparato qualcosa da lui e gli dobbiamo qualcosa.(testo raccolto da Alessio Brunialti)

p.berra

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